In meno di un anno, ben due visite a Roma. Olaf Scholz è di ritorno nella capitale venerdì e resterà per una due giorni intensa, tra il colloquio con Sergio Mattarella e l’udienza da papa Francesco in Vaticano. Nessuna occasione per un incontro con Giorgia Meloni, che è in partenza per Washington, dove l’aspetta Joe Biden.

Un vertice tra i due capi di governo non sarebbe stato comunque possibile per ragioni di protocollo visto l’appuntamento con il papa, ma Meloni e Scholz si sono incontrati l’ultima volta solo pochi mesi fa, a novembre 2023, quando è stato firmato il Piano d’azione, l’accordo sulla falsariga del Trattato del Quirinale con la Francia.

Per il cancelliere è la prima udienza del suo mandato dal papa: non è filtrato granché sui temi che saranno oggetto dell’incontro, ma è probabile che si parlerà delle guerre in Ucraina e a Gaza, oltre che della condizione complessa in cui si trova la chiesa cattolica tedesca, sull’orlo di uno scisma. Verosimile che i conflitti alle porte dell’Europa siano oggetto anche della conversazione con il presidente della Repubblica, che però è più catalogabile come visita di cortesia, visto che i due non sono omologhi.

La situazione interna

Resta il fatto che l’Italia è un partner sempre più centrale per Berlino, che si trova in una condizione difficile come poche volte negli ultimi vent’anni. Diversi elementi complicano la vita di Scholz, a partire dalla situazione interna al paese, dove la coalizione semaforo continua a essere vittima di sé stessa, in perenne litigio e oggetto dell’autosabotaggio dei liberali. Attualmente sotto la soglia di sbarramento nei sondaggi, il partito del ministro delle Finanze Christian Lindner tenta di recuperare credibilità con azioni di scarto rispetto alla politica rossoverde.

In più, AfD continua a viaggiare su percentuali preoccupanti e le elezioni regionali nella Germania orientale del prossimo autunno, in cui la destra estrema potrebbe risultare primo partito si fanno sempre più vicine. Non aiutano i dati economici asfittici degli ultimi mesi, che promettono una crescita prossima allo zero per l’anno in corso e in ripresa soltanto verso il 2025: una prospettiva che rende più difficile per il governo trovare i fondi necessari per gli incentivi all’impresa che chiede la Fdp, quelli per la transizione ecologica desiderata dai Verdi e quelli per finanziare la difesa nel lungo termine, graditi al cancelliere.

Anche in Europa la forza politica non è quella che ha sempre caratterizzato l’azione di Berlino, e per ottenere traguardi come il patto sulla migrazione o quello di stabilità sono state necessarie lunghe trattative. Anche per sbloccare i fondi da destinare a Kiev ci è voluto parecchio e in quell’occasione al governo tedesco non è dispiaciuta la mediazione risolutiva di Meloni con Viktor Orbán. Poi c’è la questione ucraina su cui le strategie di Germania e Francia continuano a tendere in direzioni differenti, come è emerso quando è stata evocata la possibilità di un intervento di truppe europee.

Scommessa difesa

Il riscatto della cancelleria Scholz potrebbe arrivare sul tema della difesa comune europea – caro anche al presidente Mattarella – su cui da Berlino sperano di vedere un salto di qualità nel più breve tempo possibile. Il governo aveva già preso un grosso impegno con il Sondervermögen, lo stanziamento speciale per l'ammodernamento dell’esercito: attualmente l’ottanta per cento dei fondi è assegnato a spese da sostenere a breve termine e si presuppone che l’investimento si esaurisca entro due o tre anni.

A quel punto, filtra da Berlino, la certezza è quella di mantenere comunque la spesa in difesa ad almeno il 2 per cento del Pil come richiesto dagli standard Nato, uno sforzo che finirebbe a costare 20-30 miliardi di euro in più.

L’ambizione è quella di elevare la questione a priorità comune: un nudge, un pungolo amichevole nei confronti degli altri partner europei ed evitare fenomeni di free riding. Un aspetto che riguarda anche l’Italia, considerato che la spesa militare è storicamente inferiore al minimo Nato e aumentarla si scontra con un’opposizione che include varie zone dell’arco parlamentare.

Basta andare a recuperare le reazioni alla proposta del ministro della Difesa Guido Crosetto di aumentare le spese militari: soprattutto dall’opposizione la contrarietà al progetto è stata netta. Nei piani tedeschi, comunque, non si esclude un finanziamento con i fondi della Banca europea per gli investimenti: nessuna emissione di debito comune per finanziare le spese, ma comunque uno sforzo coordinato del continente che permetta all’Europa di prendere in mano il proprio destino nell’eventualità che a novembre vinca le elezioni americane Donald Trump.

Il momento è florido per fare il salto di qualità, dal punto di vista tedesco, nel momento in cui addirittura il 60 per cento della popolazione tedesca si è espressa a favore della continuazione del sostegno a Kiev, ma non è scontato che le priorità di Berlino diventino anche quelle del continente.

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