- Finora l’autocrate serbo, sul quale era calata la benedizione di Angela Merkel in nome della santa stabilità, ha guardato in tre direzioni. Anche per questo la politica serba verso la Russia è carica di ambiguità.
- Per chi, come Andrej, non sopporta Putin e la sua guerra, Belgrado ha rappresentato un approdo sicuro all’indomani dall’aggressione dell’Ucraina. Le imprese come la sua si sono trasfertite in Serbia con un copione collaudato.
- Ma adesso pure queste società internazionali guardano con sempre maggior sospetto a un trasloco temporaneo in Serbia.
Masha tira fuori dalla borsa il cellulare e fotografa un murales di Putin con gli occhi insanguinati. «Diavolo», lo chiama la donna, volata da San Pietroburgo a Belgrado per fare visita a suo figlio, uno delle decine di migliaia di russi fuggiti in Serbia dopo l’invasione dell’Ucraina. Masha forse non sa di stare fotografando il murales della discordia: Putin eroe o criminale, i due volti dello zar sono i due volti di Belgrado nei confronti della guerra in Ucraina. Quello che condanna l’inva



