Nel primo mandato Trump trattò col presidente Jean-Claude Juncker che fu un ostacolo duro. Se gli si contrapponiamo oggi von der Leyen finiamo triturati
Non basta leggerlo, l’orribile discorso con cui Donald J. Trump ha inaugurato la propria seconda presidenza; solo in video appare la spaventosa realtà: la vecchia America, quella che presiedette ai “Trenta gloriosi”, svanisce nel retrovisore, speriamo non per sempre. Ne han già scritto qui qualificati commentatori. Il video aggiunge la plateale cortigianeria, i miliardari corsi in fila a baciare la pantofola, le standing ovation così spesso “chiamate”, il razzismo sotteso a tutto, goffamente coperto dal ricordo del “sogno” di Martin Luther King, quanto di più lontano da Trump si può immaginare.
Se la grazia presidenziale di Biden è da criticare, quella di Trump ai 1.500 devastatori del Congresso lo condannerà nella storia.
È scandaloso che abbia lanciato, in contemporanea con l’inaugurazione, la criptomoneta “$Trump”; svilisce così il dollaro vendendo aria fritta per miliardi. Lo squallido merchandising serve a innalzare il suo patrimonio, misero a petto dei miliardari che lo finanziano e già farciscono di persone fidate la sua amministrazione.
L’ex presidente GW Bush, repubblicano, nel 2017 definì il discorso inaugurale di Trump una strana merda, chissà che pensa di questa palta indigeribile. C’è da chiedersi cosa avrebbero patito nel secondo dopoguerra Italia e Germania, sconfitte dopo l’aggressione, se il presidente anziché Truman fosse stato Trump.
Il suo è stato un discorso imperialista, non per America first ma per America only, fa un balzo indietro di un secolo; ricorda un pessimo presidente protezionista e guerrafondaio come William Mc Kinley, ucciso nel 1901 da un anarchico polacco. Troppe sono le sue affermazioni inaccettabili pur se attese, come l’uscita da accordi internazionali contro il cambiamento climatico o per il livello minimo di tassazione, dall’Organizzazione mondiale per la Sanità o i piani di espansioni territoriali (Putin ne farà tesoro). Il discorso è una sequela di vanterie, fole e minacce.
Il ruolo di Meloni
Si dice che Meloni, donna del popolo, underdog, sola capa di governo europeo invitata, potrà far da ponte fra l’amministrazione Trump e la Ue, dove però lei è fuori dalla maggioranza storica che per decenni ha dato stabilità all’Europa! Vorrà piccoli vantaggi politici, a danno dell’Italia e della Ue, e riempire, con un frenetico attivismo estero, le domestiche lacune del governo.
Trump potrebbe essere il trauma che sveglia dal torpore la Ue, un’entità che non conosce, non capisce, nemmeno considera. Va bene a Meloni, che sogna l’Europa delle patrie col ritorno agli stati di competenze da tempo migrate a Bruxelles e sfrutta il legame con la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, politicamente non limpido, per le sue battaglie inumane contro i migranti, vendute come “lotta alla mafia”.
Trump vuol dividere gli stati negoziando con uno per volta, ma sul commercio internazionale è competente la Ue; stia quieta Meloni, e von der Leyen fermi mosse dei singoli stati. Le caute frasi della seconda al forum di Davos mostrano che non è all’altezza della sfida posta da Trump. Nel primo mandato egli trattò col presidente Jean-Claude Juncker che, nonostante la passione per il buon vino, fu un ostacolo duro. Se gli si contrapponiamo oggi von der Leyen finiamo triturati.
Serve un team che l’affianchi nel negoziato con gli Usa sul commercio, forte perché conscio di rappresentare, davanti agli Usa, 450 milioni di persone non disposte a farsi sudditi a maggior gloria del futuro impero trumpiano. La Ue faccia rispettare le proprie leggi sul settore digitale alle grandi piattaforme, contestando ogni violazione, se necessario sospendendone il servizio nella Ue.
Una sveglia per i dem
E il Pd faccia della politica europea, dove interesse europeo e italiano coincidono, l’asse portante della sua sfida a Meloni. Insieme al gruppo dei socialisti europei esiga che a von der Leyen si affianchino persone dotate dell’esperienza e dell’autorevolezza necessarie a trattare, con la dovuta fermezza, con l’amministrazione Trump su tutti i temi caldi. In Europa, o anche solo in Italia, numerose figure ben potrebbero svolgere questo importante ruolo, nell’interesse della Ue tutta. Si spera che su tali punti, essenziali per il nostro futuro, il Pd trovi l’unità e la determinazione necessarie, snidando Meloni e contestando le sue contraddizioni, nocive all’Italia e alla Ue.
A unire Meloni e Trump non è l’atlantismo, ma l’ostilità alla costruzione europea, che insieme possono affondare. Spetta ai parlamentari socialisti europei svegliare l’Europa tutta prima che sia tardi.
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