C’è chi lo chiama «il Facebook dell’Ue». La piattaforma digitale creata per la Conferenza sul futuro dell’Europa, attiva da oggi, è effettivamente un social network, cioè una rete sociale. Ma rispetto a Facebook c’è una differenza chiave: è una infrastruttura pubblica e ha uno scopo di elaborazione politica. I nostri dati non sono sfruttati dall’Ue a fini commerciali; ma va detto che questo social è un panopticon: chi si iscrive può vedere proposte e commenti di tutti. Il nuovo spazio pubblico digitale è aperto a tutti gli europei e prevede la traduzione simultanea in tutte le lingue ufficiali. La piattaforma può essere usata per leggere le proposte altrui, per commentarle e per condividerne una, in un inedito scambio paneuropeo. «Tutto questo rischia di ridursi a una performance di democrazia», dice Luiza Bialasiewicz, che insegna governance europea all’università di Amsterdam: «Queste idee raccolte potranno davvero influire?». Che fine fanno le idee postate? Intanto sono organizzate attorno a nove temi, dalla democrazia europea e dal ruolo nel mondo, ad ambiente, salute, economia, giustizia sociale, stato di diritto, istruzione e cultura, e poi c’è spazio per “altri temi”.

Chi decide e come

«Il rischio è che si moltiplichino gli spunti ma a decidere siano pochi, e in particolare il Consiglio europeo che segue logiche più intergovernative che paneuropee. Una anarchie dirigé», dice Piero Graglia, storico dell’integrazione europea. Chi farà la sintesi? «Il meccanismo è piramidale, ci sono tre livelli», dice il giurista Alberto Alemanno. «La base è la piattaforma aperta, che rappresenta un esercizio di ascolto mai visto prima. Gli spunti vengono poi raccolti ed elaborati nei “panel”, assemblee di cittadini tirati a sorte». Macron ha utilizzato un sistema simile elaborare la legge sul clima francese. L’ultimo livello sono le plenarie, a cui partecipano rappresentanti dell’europarlamento, di Consiglio e Commissione Ue, dei parlamenti nazionali. «L’Europarlamento lotta perché la sintesi non sia affidata solo ai governi e a porte chiuse», dice Brando Benifei, capodelegazione Pd al parlamento Ue. Benifei è anche presidente del gruppo Spinelli, di cui fanno parte intellettuali ed eurodeputati di vari partiti che invocano una più forte integrazione europea. «Questo non deve essere solo un esercizio di ascolto, ma aprire un conflitto politico tra chi pensa che l’Ue vada bene così e chi vuole fare un salto in avanti». Il salto è ad esempio «sui poteri fiscali: Draghi dev’essere ambizioso e guidare un fronte di paesi». La conferenza sul futuro dell’Europa, che debutta il 9 maggio e durerà un anno almeno, è considerata da chi vorrebbe più integrazione come un’occasione in gran parte persa: non è prevista una riforma dei trattati (anche se non è esclusa) e «dopo che l’Ue ha creato partecipazione e aspettative, il rischio più grande è che le deluda non dando un seguito: finirebbe per fare il gioco dei nazionalisti», dice il federalista Giulio Saputo. Anche i populisti di destra sfrutteranno il contenitore digitale: oggi tra gli eventi c’è stato quello con la ministra orbaniana Katalin Novak e il responsabile Esteri della Lega, Lorenzo Fontana. Tema: «I valori cristiani», organizzatore: il Political network for values, che «difende la famiglia» ed è antiabortista. Dalla piattaforma Ue è stato possibile ascoltare Novak dire: «Ogni nazione è diversa e ci accomunano le radici cristiane, come dice Lorenzo alla base c’è la famiglia».

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