Gli Usa sono una potenza ostile. L’Europa e le tre mosse per emanciparsi

La nuova Strategia di Sicurezza Nazionale, pubblicata la scorsa settimana dall’amministrazione Trump, ha chiarito chi sia il nemico per il governo statunitense. Se la guerra in Ucraina e la rivalità con la Cina sono appena menzionate, il documento critica duramente l’Europa (non dimentichiamo che lo scorso febbraio Trump ha affermato che l’Unione europea è stata creata “per fottere gli Stati Uniti”) e si spinge fino a teorizzare apertamente l’ingerenza, con il sostegno ai partiti estremisti di destra che cercano di minare la democrazia europea. Insomma, gli Usa oggi sono una potenza ostile. Oltre a proteggerci da possibili tentativi di destabilizzare il nostro sistema politico, sperabilmente con più successo di come abbiamo fatto con i tentativi russi in passato, dobbiamo puntare ad emanciparci. Gli Usa potenza ostile Nel 2023 (un’era geologica fa), la Commissione europea aveva pubblicato una strategia europea per la sicurezza economica che vedeva nell’ascesa della Cina la minaccia principale per lo sviluppo e per l’autonomia strategica, e faceva affidamento su una stretta cooperazione con gli Stati Uniti per una risposta coordinata nei settori strategici. Quella strategia era nata già vecchia perché, come il Diario Europeo ha affermato a più riprese, il disimpegno degli Stati Uniti dal sistema di regole multilaterali che essi stessi hanno costruito (e dal quale hanno a lungo tratto enormi benefici) preesiste a Trump e continuerà dopo di lui. In questo senso, il documento sulla Sicurezza Strategica della settimana scorsa è benvenuto perché spazza via l’ambiguità, e obbliga i pavidi dirigenti europei a prendere atto del fatto che, nella lotta per l’egemonia economica tra Cina e Stati Uniti, per noi non esistono più alleati naturali. È ora, insomma, di cominciare a considerare Cina e Stati Uniti in modo simmetrico, come paesi con i quali instaurare relazioni basate su rapporti di forza (o di mutua convenienza) e non su regole condivise, e ancora meno su valori comuni. Una nuova strategia per la sicurezza economica, per ridurre la dipendenza europea dai due giganti in guerra, cercando di non rinunciare ai vantaggi del commercio internazionale e di non mettere in pericolo la necessaria transizione ecologica deve riposare su almeno tre pilastri. Il primo è quella di dotarsi degli strumenti per una politica industriale che consenta di rilanciare la crescita e allo stesso tempo ridurre la dipendenza (economica e non) da vecchi e nuovi avversari. Poi, ridurre la dipendenza del sistema finanziario europeo da un dollaro che consente agli Stati Uniti di dettare le regole del gioco agli altri paesi. Infine, ma non da ultimo, provare a costruire un nuovo sistema di relazioni politiche ed economiche multilaterali. Oggi ci occuperemo del primo pilastro, e torneremo sulle altre due nei prossimi Diari Europei. Sanità, ambiente e stabilità globale. Cercasi nuovi sistemi di governance Il digitale e il green sono i settori chiave Il dibattito di questi mesi ha evidenziato i settori chiave nei quali la dipendenza europea dagli Stati Uniti e dalla Cina è oggi una vulnerabilità sia per la sicurezza economica che, ancora più importante, per la capacità di innovare e crescere: le tecnologie digitali, quelle per la transizione verde e, purtroppo, la sicurezza militare. I confini, ovviamente, sono labili. Si pensi all’importanza dei semiconduttori per lo sviluppo delle tecnologie green o dei sistemi di difesa; o, nell’altro senso, come lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, energivoro, non possa prescindere da fonti di energia a buon mercato e sostenibili dal punto di vista ambientale. Nel digitale l’Europa è oggi particolarmente vulnerabile: circa il 70 per cento della capacità cloud europea è offerta da giganti come Amazon Web Services e Google Cloud; Nel settore dei semiconduttori, nonostante molte eccellenze europee, la mancanza di investimenti significativi e di strategie industriali chiare ci rende dipendenti dal resto del mondo. Questa dipendenza non è solo economica, ma è un possibile strumento di pressione politica: come ha fatto con la Cina, un’amministrazione statunitense ostile potrebbe limitare o interrompere l’accesso europeo a servizi digitali o a componenti tecnologici avanzati. Anche nel campo delle tecnologie green, un settore che nei prossimi anni è destinato ad espandersi e a trainare la crescita, i dazi e il negazionismo climatico dell’amministrazione Trump stanno riducendo gli incentivi e la domanda statunitense per tecnologie pulite europee, mentre l’eccesso di capacità cinese, sostenuto da economie di scala e investimenti massicci, spinge esportazioni a basso prezzo verso il mercato europeo. La sfida, in questo settore, è di bilanciare l’opportunità di una transizione ecologica rapida e a basso costo consentita dallo sviluppo e dai prezzi cinesi (si pensi ai pannelli solari) con la costruzione di una capacità europea che ci consenta di essere protagonisti e non clienti nella rivoluzione tecnologica dei prossimi anni. Come afferma il Rapporto Draghi, l’Europa deve scegliere quali battaglie combattere. La Cina può fare a meno degli Usa, per questo Trump ha fatto dietrofront Strategie di breve e di lungo periodo Ovviamente, ogni settore ha problemi e colli di bottiglia specifici, che vanno affrontati con misure mirate. Nel breve periodo si tratta trovare strumenti per proteggere le produzioni europee nei settori più critici per la sicurezza economica, senza perdere l’accesso a tecnologie a basso costo. La protezione della sicurezza economica e delle industrie europee strategiche si può fare con misure protezionistiche (da dazi mirati alle clausole di contenuto europeo per l’accesso agli incentivi o per partecipare agli appalti), con controlli all’esportazione, con una diversificazione delle importazioni (per esempio nell’industria degli armamenti, stringendo accordi con Canada e Regno Unito). Nel lungo periodo, lo sviluppo di una capacità produttiva europea nei settori strategici non può prescindere da un rilancio significativo degli investimenti, pubblici e privati. Non si contano le volte in cui il Diario Europeo ne ha parlato, occorre liberare le mani degli stati con una riforma delle regole di bilancio europee che consenta l’investimento pubblico (una “regola d’oro”). Allo stesso tempo, essendo oggi la creazione di una vera capacità di bilancio europeo poco più di una chimera, occorre sviluppare e rafforzare i pochi strumenti europei già esistenti, come i Progetti Europei di Interesse Comune, che consentono procedure semplificate per il finanziamento e l’attuazione di progetti di investimento transnazionali. Infine, ma non da ultimo, per rilanciare l’investimento privato, che ristagna da lustri, occorre in primo luogo un quadro regolamentare stabile e certo (si pensi ai costi in termini d’incertezza del voltafaccia in corso sul bando dei motori termici nel 2035); poi, incentivi, sostegno alla domanda con commesse pubbliche e clausole di contenuto europeo per gli appalti e sostegno alle piccole imprese innovanti con passerelle tra la ricerca fondamentale e l’innovazione nel processo produttivo. Saranno capaci i dirigenti europei di emanciparsi dalla dipendenza dagli Stati Uniti e sviluppare in parallelo strategie di breve e di lungo periodo per la sicurezza economica e la crescita? Il vero costo dell’accordo sui dazi: il disastro non è economico, ma politico