Negli ultimi giorni Giorgia Meloni e Matteo Salvini, hanno scritto due risposte sufficientemente piccate a un editoriale del professor Ernesto Galli della Loggia che, sul Corriere della Sera, ha cercato di spiegare perché, se la destra vuole candidarsi a governare l’Italia, dovrebbe guardare alla lezione francese e alla parabola, non certo entusiasmante di Marine Le Pen che, incapace di fare i conti con il passato, non riesce a essere percepita come affidabile forza di governo.

Meloni in particolare, si è lamentata del fatto che ancora oggi ci sia chi si ostina a fare gli “esami del sangue” a Fratelli d’Italia e alla Destra italiana. Ribadendo, a modo suo, che lei e i suoi compagni di partito hanno già da tempo fatto i conti con la stagione delle nostalgie fasciste che è stata definitivamente archiviata.

Non sappiamo che sangue scorra nelle vene di Meloni e dei suoi Fratelli. E non saremo noi a fare “esami” per stabilirne la percentuale di fascismo. Sappiamo però che in politica non sempre ciò che si dice basta per dimostrare la verità di un assunto. Non a caso Galli della Loggia, replicando, sottolinea: «Servono i fatti».

Ebbene ieri Meloni, insieme a Salvini, Viktor Orbán, Le Pen e a un nutrito gruppetto di leader sovranisti, ha siglato una Carta dei valori europei per spiegare come dovrà essere l’Ue del futuro.

I toni sono tutto sommato misurati. Non ci sono passaggi anti euro, c’è un riferimento all’atlantismo e alcune parole d’ordine – le radici giudaico-cristiane, il valore della famiglia, quello della tradizione, la sussidiarietà, persino una certa critica verso il progetto di creare un “superstato europeo” – potrebbero forse trovarsi anche in un documento del Ppe (che non a caso ha ospitato Orbán fino a pochi mesi fa).

Ma è proprio qui il problema. Carlo Fidanza e Raffaele Fitto, avamposto di Fratelli d’Italia a Bruxelles, spiegano che si tratta di «un importante contributo a un dibattito che deve prevedere una pluralità di voci» e che il partito non muterà la propria collocazione rimanendo nel gruppo dei Conservatori e riformisti europei di cui Meloni è presidente. L’obiettivo, semmai, è quello di trovare «terreni di incontro e collaborazione con forze politiche appartenenti ad altri gruppi ma mantenendo ben salde la propria identità e la propria collocazione».

Le loro parole, però, somigliano tanto a una giustificazione. Quasi un modo per rassicurare chi potrebbe non gradire una sbandata sovranista e un percorso comune con Salvini, Orbán e Le Pen.

Perché le parole sono importanti, come direbbe Nanni Moretti, ma i fatti ancora di più. E Meloni, ieri, aveva l’occasione per segnare una distanza tra sé e chi viene guardato con giustificato sospetto in Europa ma anche in Italia. Di parlare anche a un elettorato diverso da quello che già oggi la sostiene. Di mostrare di avere un “sangue” diverso. Non l’ha fatto.

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