Il governo illiberale non accetta potere all’infuori del suo

Come si permette un magistrato di disquisire sulle scelte del governo. Che stia zitto e buono. Si limiti a fare il cortigiano del potere. Questo è il ruolo che la destra, l’estrema destra oggi al potere in Italia, riserva alle istituzioni indipendenti. In pieno spirito populista e illiberale nulla deve contrapporsi alla volontà del popolo espressa nelle urne. Per costoro il governo è, per definizione, legibus solutus , libero dagli impacci di regole e norme. Questa ideologia politica non è nuova, è parte integrante della destra emersa nel 1994 con l’irruzione nell’arena politica di Silvio Berlusconi, vero padre putativo di Giorgia Meloni. Già nelle sue prime apparizioni il Cavaliere si presentava come l’unto del Signore, piegato a bere l’amaro calice della politica per la salvezza del suo amato popolo. E ovviamente tutto quello che faceva era solo e soltanto per un interesse collettivo, non certo per sé e i suoi amici. Quindi chi voleva impedire la realizzazione del bene generale era antinazionale. Meloni ha ripreso questa visione la scorsa settimana sostenendo che Elly Schelin, con le sue critiche pungenti, infangava il buon nome dell’Italia. L’identificazione del governo con la nazione, per la presidente del Consiglio, è automatica. Dal Ponte alla separazione delle carriere. La destra si è fermata a Silvio Berlusconi Per cui, chiunque critichi il governo è un disfattista. Sostanzialmente, un nemico del popolo. Questa impostazione richiama i momenti bui della nostra storia quando gli oppositori facevano una brutta fine. Non siamo ancora a tanto, ma aumentano le derive autoritarie e illiberali del governo con lo scorrere del tempo: le scadenze elettorali inquietano ed è necessario alzare la tensione. Magari anche agendo per linee interne, con qualche provocazione ben orchestrata. A pensar male, diceva Andreotti, si fa peccato ma spesso si indovina. L’attacco alla Corte dei conti rea di non essersi inchinata al progetto del ministro dei Trasporti tradisce, in superficie, il nervosismo della maggioranza che perde terreno nei sondaggi e non è più in sintonia con una opinione pubblica che si sta scrollando di dosso una apatia di lungo periodo e si palesa nello spazio pubblico, rischiando anche di essere ammanettati a 16 anni: una scena cilena su cui nessun a destra ha detto nulla, anzi. Più in profondità, il fuoco concentrico sui giudici contabili manifesta l’insofferenza per la primazia del diritto e verso chi è incaricato di farlo rispettare erga omnes, su ogni versante. Non si accetta che il potere vada limitato. Non si concepisce che una democrazia ben funzionante sia strutturata con pesi e contrappesi affinché chi detiene (pur temporaneamente) il potere non debordi. Evidentemente l’amico Trump ispira i nostri governanti. Se poi passasse il progetto di premierato, l’opposizione potrebbe innalzare i cartelli di No Queen. Sì definitivo alla riforma della giustizia, ora il referendum Ora, finché l’assalto è alla Corte dei conti il danno è contenuto. Per quanto il segnale sia chiaro, l’ambito di azione della magistratura contabile è limitato. Proprio per questo, un governo a minor tasso di arroganza avrebbe preso atto dei rilievi e discusso su come porre rimedio. Eppure è subito scattata una reazione per lesa maestà. Ma il bersaglio grosso è un altro: la Corte costituzionale. Se la Corte intervenisse bocciando dei provvedimenti governativi, potrebbe partire una operazione di delegittimazione del suo operato. In questo caso il sistema entra in una zona pericolosa. Quella in cui il potere non ha più argini. Poiché il connotato populista che esalta la volontà popolare senza limitazione alcuna è nel Dna della destra, essa non avrebbe inibizioni nell’attaccare anche la Corte. Finora ha tentato una operazione di stile trumpiano cercando, per fortuna con limitato successo, di nominare giudici amici. Ma in caso di un conflitto il governo innalzerebbe il vessillo di rappresentante unico e legittimo del popolo nei confronti del quale nessuno ha diritto a intervenire. Quanto la destra può tenere a freno le sue pulsioni illiberali e accettare una autorità superiore, sovraordinata al suo governo? Questo è il vero discrimine sul quale si colloca la tenuta del nostro sistema democratico.