La candidatura dell’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri a Roma sarebbe «la prima operazione, a margine della definizione dei sottosegretari e vice ministri, per accompagnare Virginia Raggi verso la porta di uscita del Campidoglio». La senatrice dissidente del M5s Barbara Lezzi scaraventa la questione romana nel calderone sempre più confuso dei rapporti fra Pd e Cinque stelle nelle ore in cui il governo cerca di scovare l’algoritmo per i posti di sottogoverno. Le due vicende, quella nazionale e quella romana, si intrecciano a loro volta con il marasma dei grillini contrari a Draghi. Un’area ancora indefinita, che ragiona sulla scissione e che oggi per la prima volta si peserà al voto di fiducia al Senato.

Quanto “pesa” Gualtieri

Raggi è nel pieno dell’organizzazione della sua corsa, ma nello skyline della Capitale affiora il profilo di Gualtieri. Fra i primi nomi fatti balenare dal Pd nazionale, fra i primi a sfilarsi dalla corsa in quanto ministro. Ora che non lo è più la sua risposta potrebbe cambiare. Un sondaggio fresco di giornata, condotto dalla società Izi, lo dà ben piazzato. Fra quattro nomi “papabili” – oltre a Raggi e Gualtieri, Carlo Calenda e per le destre Andrea Abodi – la sindaca risulta la più sicura di passare al ballottaggio, con il 26,8 per cento dei voti; l’ex ministro dell’Economia la segue da vicino con il 22,3; Calenda, che annuncia di restare in campo nonostante Gualtieri, subito dopo con il 19,6. Infine Andrea Abodi, il manager lanciato da Giorgia Meloni, che però non ha ancora sciolto la riserva, – risponde ai requisiti “civici” ma secondo gli alleati è troppo sconosciuto – al 18,9 per cento. Con questo poker di nomi, il 12,4 per cento voterebbe «altro». La scelta degli intervistati è fra quattro personaggi due dei quali, va ricordato, non ancora candidati. Quindi sia Gualtieri che Abodi vengono misurati in paragone con chi da mesi lavora a regime per la propria corsa.

Proprio l’incertezza di almeno due candidati “gonfia” la percentuale di chi non voterebbe nessuno dei nomi proposti. Abodi esprime un’area di centrodestra che al pieno raggiunge il 30 per cento dei voti. In più la sindaca Raggi si giova, oltreché del suo attivismo, anche dell’effetto continuità. Anche per questo la percentuale raccolta da Gualtieri è incoraggiante, e ottenuta con quasi zero visibilità in città. Un anno fa, da ministro, è stato eletto alle suppletive di Roma per il seggio lasciato libero da Paolo Gentiloni. Lo ha votato il 62,2 per cento dei votanti, che però sono stati il 17,6 per cento: solo 32.880 persone su 186.234. E in assenza di competitor veri: contro il ministro del governo Conte gli altri partiti hanno schierato secondo file. Per dire, la candidata del M5s Rossella Rendina non riuscì ad acciuffare il 5 per cento.

Sull’ipotesi Gualtieri arrivano adesioni che pesano – come quello del Messaggero, cioè quello dell’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone, da sempre grande elettore del Campidoglio – ma anche da un’ala della coalizione di centrosinistra. Lui per ora non commenta. Chi ci ha parlato sa che essere indicato come sindaco di Roma gli fa piacere, ma anche che molto dipende dalle scelte del Pd.
«Roberto è una persona eccezionale e non ha bisogno dei miei consigli. Io sono amministratore a Roma da tredici anni, la conosco palmo a palmo e so che Roma deve scegliersi il sindaco e non accetterà nessuno che glielo impone», ha detto ieri Nicola Zingaretti, a Cartabianca su Rai3. Una frase affettuosa, che viene interpretata come «un endorsement». Con una sfumatura: l’allusione alla grande conoscenza della Capitale da parte di Zingaretti. Nel Pd tutti sanno una cosa: il vero candidato vincente per il Campidoglio sarebbe proprio il segretario, per due volte presidente della Regione Lazio e prima presidente della Provincia di Roma. Din qui Zingaretti lo ha sempre escluso convintamente. C’è di dice che se il voto si spostasse al prossimo autunno invece potrebbe non essere così irremovibile. Peraltro non è escluso che per Gualtieri presto potrebbe arrivare anche una richiesta da un importante organismo economico internazionale.

L’ex ministro potrebbe non essere sgradito anche ai Cinque stelle. Che per ora restano prigionieri delle loro beghe interne. Su questa eventualità invece ragionano i romani di Art.1 e Sinistra per Roma di Stefano Fassina. Liberare Roma invece, insieme ad altri candidati (per esempio Tobia Zevi) chiede le primarie. L’alleanza Pd e Cinque stelle è ancora incerta nelle città. In parlamento invece i giallorossi provano a restare uniti: ieri al Senato si sono incontrati i capigruppo della vecchia maggioranza per fare asse e far pesare i propri numeri rispetto a Forza Italia e la Lega. L’obiettivo è un documento programmatico per «allargare» il programma di Draghi, e un coordinamento prima di ogni conferenza dei capigruppo.

Scontro sulle sottosegretarie

Molto dipenderà dal voto grillino di oggi. Ma anche i dem hanno da sbrogliare le loro matasse. Le amministrative di giugno – 1300 città fra cui Torino, Milano, Bologna, Roma e Napoli – restano un appuntamento teorico. Il discorso con cui il capo dello stato ha affidato il mandato a Mario Draghi ha escluso un veloce ritorno alle politiche causa pandemia. Non è improbabile un rinvio in autunno anche delle comunali. È uno dei primi dossier che il nuovo governo dovrà affrontare. A partire dalle regionali calabresi dell’11 aprile. Se confermate, entro i primi di marzo dovrebbero essere depositate le liste.

Intanto il Pd è affaccendato in altro. Ieri il comitato politico ha discusso dei futuri viceministri e sottosegretari. Con scontri ruvidi e incrociati. Da una parte la contestazione di alcune donne per una delegazione di ministri tutta maschile, che il segretario attribuisce interamente alle scelte di Draghi e del Colle in base all’art.92 della Carta. Dall’altra la richiesta di riequilibrio di genere nel sottogoverno, comprendendo nel computo anche i tre (uomini) della delegazione al governo. I giovani turchi – per voce di Giuditta Pini – chiedono che la discussione approdi nella direzione e che fino a quel momento «nessuno dovrebbe accettare incarichi di sottogoverno». Il segretario a sua volta aspetta indicazioni da Draghi sul numero dei viceministri e sottosegretari assegnati a dem.

 

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