«Caro presidente, che senso ha spendere 88 dei 127 miliardi dei prestiti europei solo per finanziare progetti che già esistevano? Abbiamo una visione o abbiamo solo svuotato i cassetti dei ministeri con le vecchie proposte?», «Se abbiamo il maggior numero di morti in Europa forse dobbiamo investire di più in sanità, non credi? Questo rifiuto ideologico del Mes mi appare ogni giorno più incomprensibile». Il copione del dialogo che si tiene a palazzo Chigi in serata con la delegazione di Italia viva, e che nella realtà dura un quarto d’ora, il presidente del Consiglio lo conosce già e se lo trova persino pubblicato su Repubblica. È una lettera-documento in venti punti in cui Matteo Renzi elenca le condizioni per mandare avanti la legislatura. Dal Mes alla giustizia, dalla scuola agli investimenti, un’analisi severa sui fallimenti del governo. In presenza parla Renzi, consegna il documento e aggiunge: «Ora serve una sterzata nell’azione del governo». Dura tutto pochissimo. Conte – che è arrivato in ritardo all’appuntamento – ascolta e «apprezza i contenuti», dice. All’uscita la ministra Teresa Bellanova tira le somme: «Aspettiamo una riflessione del presidente, deve farci sapere se ci sono le condizioni per andare avanti con l’esperienza di governo». E’ andata così, con un nulla di fatto,  con un incontro lampo. La palla ora è al premier. Oggi comunque le ministre di Iv parteciperanno al Consiglio dei ministri.

La giornata sbagliata

L’ultimo punto della lettera è sui servizi segreti: «Abbiamo fatto un governo per evitare i pieni poteri a Salvini. Non li affideremo a altri», avverte il leader di Iv, «L’intelligence non è la struttura privata di qualcuno: per questo ti chiediamo di indicare un nome autorevole per gestire questo settore. Io mi sono avvalso della collaborazione istituzionale di Minniti, Monti ha lavorato con De Gennaro, Berlusconi con Letta: tu non puoi lavorare con te stesso anche in questo settore». Per quest’ultima richiesta però la giornata, per una casualità che tutti considerano quantomeno curiosa, è quella sbagliata. Oppure giustissima, ma per far segnare un punto a Conte: in mattinata arriva la notizia che il premier sta salendo su un Falcon con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio destinazione Bengasi, dove incontra il generale libico Khalifa Haftar come condizione per la liberazione dei diciotto pescatori detenuti in Libia. Il fatto irrompe al Senato mentre maggioranza ed opposizione litigano sul decreto sicurezza. La liberazione è una festa per tutti, dice in aula il leader leghista Matteo Salvini, ma «queste operazioni si annunciano a pescatori rientrati in Italia». La polemica viene da destra. Ma la notizia coglie di sorpresa tutta la maggioranza.

Per giorni, anche in aula, Renzi ha denunciato l’inerzia italiana sui pescatori. «Una notizia bellissima», scrive ieri su Facebook. Ma gli è chiaro che Conte arriverà al confronto della serata da trionfatore, e proprio sul punto dell’autorità delegata dei servizi. Conte tiene la delega per sé, la legge glielo consente. Ma per Renzi questa scelta è un tassello della tendenza all’accentramento, i «pieni poteri». Anche il vicesegretario del Pd Andrea Orlando in tv avverte che «è una discussione che va assolutamente fatta».

Ma il Pd non segue Renzi nell’avviso di sfratto al premier. Non crede nella crisi, ma di più teme una crisi non «pilotata». Pubblica il suo documento, 25 «contributi al programma di governo». Ma sono titoli, non paletti né condizioni, in vista di un tavolo di maggioranza che, secondo i dem, dovrebbe aprirsi a gennaio e varare il programma di fine legislatura. Sempreché ci si arrivi.

I parlamentari più vicini a Nicola Zingaretti aspettano che sia Conte a trovare la soluzione. In tv lo dice Orlando: «Vedo una mancanza di metodo che rallenta l’azione di governo. Si era detto: ci si mette a un tavolo, si vede cosa si è fatto del programma sottoscritto l’anno scorso e si decide cosa si fa da qui in avanti». Ma Iv e M5s hanno bloccato il tavolo delle riforme istituzionali e quello dell’attuazione dei 29 punti. E poi c’è Conte. Per Orlando «è del tutto evidente che quando emergono dei nodi politici e ci sono veti incrociati l’unico modo di sbloccarli è un’iniziativa del premier».

Il premier sarà inerte, ma comunicativamente attivissimo. Ieri ha inviato gli auguri a papa Francesco, per i suoi ottantaquattro anni, dandogli del tu. Ed è anche davvero molto fortunato se nel giorno in cui Renzi potrebbe annunciare la crisi, può oscurare la notizia con il successo libico, anche se appannato dagli scivoloni del suo portavoce Rocco Casalino(che per vantarsi con i cronisti manda lo screenshoot della geocalizzazione del suo smartphone, poi smentisce). E Renzi è senz’altro «felice» per i pescatori, ma questa coincidenza è uno smacco per uno che è anche un maestro nel giostrare con l’informazione e protagonista dei media per giorni.

A sera non è questo il punto. Il punto è come Conte riuscirà a uscire dalla crisi.

Stavolta quello di Renzi non è un bluff, avverte su La7 la ministra Teresa Bellanova: «Chi lo pensa, pensa male», «Se non si definisce un programma da qui a fine legislatura, possiamo anche chiamarla Filippo ma vuol dire che non siamo in grado di risolvere i problemi del Paese». Un renziano di rango conferma: «Mi pare che Matteo voglia andare all’opposizione, anziché fare l’opposizione nella maggioranza», tanto non si andrà al voto perché «in Senato dieci responsabili si troveranno».

Ma non è detto, nel Senato in cui le destre spintonano e occupano l’aula, come è successo ieri. E in cui, racconta una senatrice dem, «i Cinque stelle pretendevano di non mettere la fiducia sul decreto sicurezza perché il ministro Gualtieri non riusciva ad assicurare le coperture per il superbonus. Qui da noi l’aria è sempre più pesante».

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