«Buttato fuori», dice proprio così Matteo Renzi, parla della coalizione di centrosinistra della sua Firenze. Ma è possibile che si sia fatto mettere nel sacco proprio a casa sua, la culla del renzismo, la sua signoria, dove è convinto di avere magari non più il tocco di Mida, ma almeno la golden share per la scelta del futuro sindaco per le comunali della prossima primavera? «Si è fatto fuori da solo», correggono dal Pd. Con immagini pirotecniche, del genere: come un giocoliere, un lanciatore di fuoco che, lanciando i pezzi in aria sempre più all’impazzata, alla fine si sta bruciando le mani. O come nella tradizionale cerimonia del “Brindellone”, lo scoppio del Carro: alla fine il razzo imbottito di pirite gli è scoppiato, ma in mano.

Niente primarie

La sera dello scorso 4 dicembre, nel circolo Arci di San Bartolo a Cintoia, l’assemblea del Pd fiorentino ha deciso – con votazione a maggioranza, grande maggioranza – di non fare le primarie per il candidato sindaco e, fatta una consultazione su larga scala, di indicare la già lanciatissima Sara Funaro, assessora al welfare del comune di Firenze, nipote del sindaco dell’alluvione a Firenze, Piero Bargellini; un nome che, non è un mistero, ha fortissimamente voluto dall’inizio il sindaco uscente Dario Nardella, che è a fine mandato e si prepara a trasferirsi a Bruxelles. Funaro è sostenuta, fin qui, da una coalizione di sette partiti: Pd, Azione, Più Europa, Sinistra Italiana, Psi, Verdi, Volt, «la coalizione salario minimo», la definisce il sindaco.

E Renzi? Renzi si è ritrovato spiazzato dall’accelerazione. «Scommetteva sulle nostre divisioni interne», spiegano i dem della città, «era sicuro che fra noi la cosa andasse per le lunghe, e che così lui avesse grandi spazi di manovra». Ma soprattutto, raccontano ancora, voleva cavarsi il gusto di sventare la candidata dell’ex amico Nardella. Nei confronti del quale, assicurano altri suoi ex amici, «nutre ormai un astio incomprensibile, psicologico, che lo acceca». Voleva insomma far vedere di essere ancora comunque il numero uno, indispensabile, voleva essere il king maker come lo è stato proprio di Nardella. E non solo: lui ha fatto e disfatto il governo Conte II, ha fatto il governo Draghi, e vuoi che non riesce a intortare un Pd composto in gran maggioranza da quelli che stavano con lui?

«Buttato fuori»

Non gli è riuscito, almeno per ora. E così adesso si sente «buttato fuori», spiega ai suoi, «pur di farmi fuori il Pd ha accettato il veto di Sinistra italiana, che sta nella coalizione solo a patto che io ne resti fuori». Su questo veto ha qualche ragione. Il partito di Fratoianni, per entrare nella coalizione del centrosinistra e abbandonare la lista “Sinistra progetto comune”, in linea con l’accordo nazionale, non può fare la parte di quello che trangugia tutto: quindi nell’accordo ha fatto mettere nero su bianco il niet su Iv. Invece dal Pd la dicono diversamente: Italia viva può aggiungersi alla compagnia, se vuole, l’ex premier sta usando questa storia solo «per fare un po’ di vittimismo». La stessa Funaro ha subito parlato di «porte aperte», la decisione spetterà alla coalizione. Provocando immediato mal di stomaco dal lato sinistro. Smentito questo venerdì da Dario Danti, segretario regionale di Si: nessun veto. Si inserisce il coordinatore cittadino di Italia viva Francesco Grazzini: «Facciamola semplice: se non ci sono segreti, rendete pubblico l’accordo e togliamoci tutti i dubbi».

Dal partitone però tranquillità: circola un sondaggio secondo cui il centrosinistra è avanti già al primo turno, senza Renzi e anche senza i Cinque stelle, dei quali si aspetta la decisione. Nardella e Conte hanno un canale aperto, ma il presidente grillino ancora non ha deciso.

«Ma anche se alla fine si andasse al ballottaggio, gli elettori di Iv a Firenze voterebbero per la destra?», è la domanda retorica democratica. «E con una candidata Pd di area riformista» (Funaro ha votato Stefano Bonaccini al congresso), «e che ha iniziato a fare politica con i “volti nuovi per Palazzo Vecchio”, e cioè un’invenzione renziana?» Difficile. Lo stesso vale per i grillini. E alla fine, dicono al Pd, vale anche per la lista di sinistra lanciata sul Fatto da Tomaso Montanari, lo storico dell’arte e rettore dell’Università per stranieri di Siena, che detesta l’ex sindaco più o meno quanto detesta quello; e che però non si candiderebbe a capitanarla. Montanari oggi di Funaro si trova a dire la stessa cosa che dice Renzi, ed è una prima volta per entrambi: che è «un Nardella ter».

Ma se Montanari con il Pd mai, per Renzi il guaio è un po’ più serio: stavolta si è messo nell’angolo da solo, stavolta per l’ambizione di contare troppo rischia di diventare ininfluente. E così, proseguono ancora dal Pd, Firenze diventerebbe il laboratorio nazionale delle alleanze come le ha in testa Elly Schlein: una sinistra allargata ai cespugli, che si trascina appresso Conte, e tanti saluti a Italia viva. Un risultato ottenuto dalla convergenza dei pochi (in testa il segretario regionale Emiliano Fossi) di Schlein e dei molti (in testa Nardella) di Bonaccini.

Di nuovo voglia di popcorn

Vista dal lato Renzi le cose stanno diversamente. La sua candidata di bandiera è la vicepresidente della Regione Stefania Saccardi. Lo spazio di manovra che gli resta è lo scontento di Cecilia Del Re, ex assessora, bonacciniana anche lei ma in rotta di collisione con Nardella, e aspirante candidata dem: chiedeva le primarie per sfidare Funaro. Il leader Iv ha scritto di getto, sul Riformista, il suo scontento: «La città che ha prodotto il cambiamento della rottamazione e della parità di genere (non a caso qui il centrosinistra tre candidati, tutte donne: Sara Funaro, Cecilia Del Re, e Stefania Saccardi, segno che quando si investe su protagonismo femminile, la generazione successiva raccoglie i frutti dell’idealismo di chi l’ha preceduta) ha scelto di rifiutare le primarie per blindare la candidata imposta dal sindaco uscente. Quando i leader hanno coraggio fanno le primarie.

Quando i leader non hanno coraggio» leggasi Schlein ma anche Nardella «non solo non fanno le primarie, ma in realtà non sono neppure leader. E gli accordicchi che di queste ore lo dimostrano». Renzi si sente l’autore di tutto il dipinto fiorentino: Funaro, «Sarina», ha iniziato a fare politica con lui, è amico anche della mamma; Saccardi, «la Stefania», è dei suoi, e anche Del Re «ha iniziato con me». Insomma è tutto suo, tavolozza, pennelli e cornice. E lui deve restare fuori dal quadro?

La spesa alla Coop

Questo sabato farà una conferenza stampa: la prossima mossa sarà proporre a Del Re di sfidare alle primarie con Saccardi, «primarie di sorellanza», poi chi vince fa la candidata sindaca e chi perde la vice. Del Re è tentata, ma non ha deciso. Per Renzi sarebbe una scena da popcorn. Spiegano i suoi: «Il Pd si aspetta la renzata da destra, e invece arriva la saccardata da sinistra». Ma come, si chiedono al Pd: Del Re lascerebbe il partito? E su Saccardi: «Lei è vice di Giani in regione: se si candida contro il Pd pensa che non ci sarà nessuna conseguenza?». Le signore sono avvertite.

Da quest’altra parte è avvertito anche il signor Pd. Perché il leader di Iv invece è convinto che il vero veto su di lui è quello di Schlein, e che se il Pd corre senza di lui, Funaro non passa al primo turno. La destra sta per lanciare Eike Schmidt, direttore degli Uffizi («Un altro che ho portato io», dixit); ma c’è anche l’ipotesi Leonardo Bassilichi, presidente della Camera di Commercio. Dunque al primo turno Renzi andrebbe alla guerra con il Pd. E se poi si va al ballottaggio», riferiscono i suoi, «per votare Funaro, al Pd facciamo una lista della spesa che nemmeno alla Coop».

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