«Lo avevamo detto da subito, e puntalmente eccoci qua». Maddalena Fragnito racconta com’è nato il movimento «Priorità alla scuola». In maniera spontanea durante il lockdown. Quando i bimbi stavano a casa e con loro quasi sempre le madri. Il primo atto è stato una «lettera a una professoressa», cioè alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina. Lanciata sulla piattaforma Avaaz per chiedere informazione tempestiva e un ripensamento immediato della scuola per consentire le riaperture in sicurezza: «Se il governo continuerà a rimandare la discussione e la pianificazione, per molti mesi si continuerà a privare del diritto all’istruzione intere generazioni di studenti», diceva. In pochi giorni sono arrivate 85mila firme. In principio erano solo genitori. Ma poi sono arrivati gli insegnanti, gli studenti. La mobilitazione corre sulla rete. Alla prima manifestazione del 23 maggio, la prima dell’Italia nell’era del contagio, con distanziamento e regole antiCovid, partecipano i comitati di venti città. Alla seconda, il 25 giugno, le città salgono a sessanta. Il movimento si allarga e deve fare i conti al proprio interno: allontanando i negazionisti, sperimentando forme di confronto fra interessi diversi, insomma diventando il movimento di un’intera comunità.

Rimandati a settembre

A settembre si sono ritrovati con tutte le più nere profezie avverate. « La ministra aveva promesso insegnanti al loro posto dal primo giorno di riapertura, precari stabilizzati, stipendi alzati. E invece i fatti parlano di altro». E ora siamo alla vigilia del rientro in classe delle scuole che hanno aperto il 14 settembre, come da indicazione del ministero, e di quelle che hanno aspettato il dopo voto. Per questo hanno convocato la comunità scolastica in piazza a Roma sabato 26 settembre. Fragnito ora scorre le ultime dichiarazioni della ministra. Sottolinea uno a uno i passaggi che non tornano. «Se utilizziamo bene le risorse che perverranno dall'Europa potremo insieme intervenire su alcuni dei mali storici della nostra scuola», dice Azzolina. «Belle parole» replica a distanza Fragnito, «Ma abbiamo imparato a non fidarci. L’Italia è il paese che ha avuto più tempo per preparare la riapertura delle scuole, sei mesi, ben metà anno solare».

Le richieste

Le cronache dei primi giorni hanno raccontato situazioni molto diverse da città a città, e nelle città fra zone e zone, scuole e scuole. «Siamo tornati alla scuola di classe, un diritto che passa per le condizioni economiche, perché se hai un mezzo privato sei più sicuro che se prendi il bus; e per le zone geografiche, perché in Emilia Romagna il monitoraggio del contagio è costante e invece in altre regioni ci vogliono giorni per un tampone», spiega Fragnito, «Solo a Milano sono rimasti a casa tremila bambini dei nidi e mille della scuola d’infanzia, un dato fuori misura rispetto agli altri anni», «Il tempo pieno è a rischio, l’orario completo ancora lontano, mancano gli insegnanti: se non hai la baby sitter o i nonni qualcuno in famiglia deve ancora restare a casa». Il rosario è lungo, la stucchevole vicenda dei banchi a rotelle ha coperto tutto il resto. «Sabato dalla piazza denunceremo quello che succede e che avevamo purtroppo previsto: non bastano i docenti, i precari sono aumentati, migliaia di supplenti non sono stati ancora nominati, le procedure farraginose e partite con i numeri sbagliati. Il personale amministrativo, tecnico e ausiliario e i collaboratori scolastici sono pochi. In molte secondarie gli ambienti devono ancora essere ancora trovati; avevamo chiesto di riaprire le infermerie nelle scuole e invece le scuole sono state costrette a procedure fai-da-te, con il referente che è un docente che si immola e deve capire la differenza fra un raffreddore e un contagio. E infine il tragitto casa-scuola: avevamo chiesto il potenziamento del trasporti, quasi ovunque non è successo nulla».

La proposta è: «Chiediamo 20 miliardi per la scuola nel Recovery fund, come spesa straordinaria, e un punto di Pil in più di spesa ordinaria dal 2020: la media europea è il 5 per cento, quella italiana è il 3,6». Sul palco di Roma si daranno il cambio le voci di questa comunità. E alla fine si farà musica: suoneranno gli Assalti frontali, storico gruppo della Capitale, il cui leader Militant A (Luca Mascini) è da anni impegnato in laboratori di rap nelle scuole. Alla manifestazione hanno aderito anche i sindacati della scuola (Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola Rua, Snals Confsal e Gilda Unams, Cobas). «Abbiamo scelto la strada della manifestazione e non di uno sciopero», spiega Francesco Sinopoli, Flc, «perché, nonostante le campagne denigratorie sugli insegnanti, lavoriamo in alleanza con le famiglie. Non abbiamo mai remato contro, non siamo sabotatori, queste sono le argomentazioni che ha usato la ministra per coprire i ritardi del governo». Le cifre del sindacato, fin qui non smentite, parlano: «Sono stati assegnati 19.294 posti su 84.808 per i docenti, e 9674 su 11. 323 per gli Ata. Il resto dei posti rimane vacante ed è assegnato in questi giorni, con molte difficoltà, dalle graduatorie per le supplenze».

«La scuola ha riaperto a metà» conclude Fragnito, «il governo si renda conto che è nata una mobilitazione permanente e colga questa occasione per trasformare la scuola italiana. La didattica a distanza deve restare uno strumento emergenziale, la disorganizzazione di questi giorni è inaccettabile. Serve sicurezza, presenza e continuità».

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