«Guido Bodrato-dacci il risultato!». Alle cinque del mattino, dalle gradinate del Palaeur di Roma, si alzò dai giovani democristiani un coro potente, rabbioso, felice, mentre fuori infuriava il temporale.

Un immediato sentimento di vittoria raro in politica è immediato, in quell'alba che per lui significava l'inizio della stagione più bella e più dolorosa della sua vita, segnata dall'assassinio di Aldo Moro. Chiedevano a lui il risultato perché lui più di tutti li rappresentava.

Guido Bodrato se n'è andato ieri, novantenne. Nella notte del 24 marzo 1976 stava per compiere 43 anni, era un giovane deputato della Democrazia cristiana a un passo dal successo più importante, la riconferma a segretario di Benigno Zaccagnini, il primo a essere eletto direttamente dai delegati del congresso, e non dal Consiglio nazionale, il tentativo con cui la Dc, il partito-Stato da trent'anni al governo, provava a rinnovarsi per non morire.

«Viso scavato e occhi pungenti, Bodrato è il cervello più fino della corrente di Forze Nuove. È un uomo di caldo coraggio», lo raccontava Giampaolo Pansa. «Salito sul podio, viene accolto da un niagara di fischi. Lui aspetta, sorridente. Poi comincia a parlare dinanzi alla fossa dei leoni.

All'uscita, in risposta a un amico che gli dice: “Hai avuto un bel fegato a parlare davanti a una platea così...”, Bodrato replica: “Ce ne vuole di più per parlare alla Fiat o alla Lancia in un giorno di sciopero generale...”».

In quella stagione la politica era tutto, i congressi duravano giorni, erano tensione, oratoria, conta dei voti, scontro fisico.

Bodrato era già allora uno dei leader della sinistra democristiana, uno della banda dei Quattro di piazza del Gesù, come li chiamavano li avversari interni, come se fossero guardie della rivoluzione. Di quella nobile famiglia, il cattolicesimo democratico, possedeva tutte le caratteristiche: la forza intellettuale, il radicamento sociale, la riservatezza, la mite intransigenza.

L’uomo delle riforme

L'elezione diretta del leader era stata voluta dalla destra della Dc, Bodrato si era opposto. «Si vuole riflettere, prima nel partito e poi nell'organizzazione politica del paese, una forma istituzionale che noi riteniamo pericolosa per gli equilibri democratici». Il presidenzialismo, certo. Ma ancora di più Bodrato ha sempre combattuto le riforme per verticalizzare il potere, la semplificazione.

«È in atto una disgregazione del tessuto sociale che rende ingovernabile la società contemporanea, non solo per la debolezza delle maggioranze parlamentari o per la loro inconsistenza», diceva al congresso della Dc del febbraio 1980.

Nel 1982 attaccava il Psi di Bettino Craxi, «che disegna una democrazia plebiscitaria, una riforma costituzionale sulla base di una società radicale e corporativa, dalle basi giacobine, e quindi tendenzialmente autoritarie».

Il privato

Della Dc avrebbe potuto essere segretario una o due volte, ne è stato vice e ministro tre volte, disinteressato al potere. Da anni usava twitter per intervenire nel dibattito. In uno degli ultimi tweet ha attaccato «il riflusso autoritario, presentato come governabilità e come democrazia del futuro» di Giorgia Meloni, specificando: «C'è un liberal-socialismo democristiano nel mio passato». Meno di due mesi fa ha salutato con pudore e dolcezza la moglie Irma, sempre con lui: «Irma mi ha lasciato stamani, alle nove. Ho sempre pensato con la testa, ma oggi lo faccio con il cuore e non riesco a dire addio». Il congedo di una intelligenza politica con cui mancherà discutere e dissentire. Un combattente della politica che non c'è più.

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