Un anno di campagna elettorale sfiancherebbe anche il più esperto marcialonghista, tanto più in un’epoca di emergenze, il Covid prima la guerra ora, che con i loro incerti possono trasformare dieci mesi in un’èra geologica, con tanto di estinzioni di specie e avvento di nuove. Ma il tempo non è la preoccupazione dell’assessore della Sanità del Lazio Alessio D’Amato, che è poco più che cinquantenne ma è un politico che ha scommesso sulla durata: da quando giovanissimo è segretario della sezione Pci di Prima Porta, poi più volte consigliere regionale – intanto entra nel Prc, poi nel Pdci, poi fonda l’associazione Rossoverde, infine si avvicina al Pd – poi nel 2013 responsabile della cabina di regia della sanità (commissariata) della sua regione, infine dal 2018 diventa assessore di Nicola Zingaretti.

Il 2 giugno 2021 ha ricevuto i galloni di ufficiale al merito della Repubblica per il contrasto alla pandemia. Per tutto questo alla domanda «ma non è presto per lanciarsi, come ha fatto, alle primarie per la presidenza della regione?», per il voto del marzo 2023, risponde con stupore: «E perché? La proposta delle primarie l’ha fatta il presidente Zingaretti. Ho solo detto che, qualora si facciano, sono disponibile».

In città è noto che c’è un altro contendente, il vicepresidente della regione Daniele Leodori, uomo prudente, che alla domanda sulla sua candidatura risponde con un sorriso: «Richiesta prematura». Nel caso si sfiderebbero due uomini molto vicini a Zingaretti, il suo braccio destro nella sanità e il suo vice, entrambi assessori di peso (Leodori regge il Bilancio).

Uno iscritto al Pd ma fuori dai giochi di partito e con simpatie trasversali, da Calenda a Montino, a Bonaccini a Marianna Madia, a Boccia, a Orfini, al ministro Andrea Orlando. Al sindaco di Roma Gualtieri che a suo tempo provò a chiamarlo con sé. D’Amato si schermisce: «Ho buoni rapporti con tutti, il fatto di non appartenere a correnti da un lato crea difficoltà ma dall’altro dà anche vantaggi». Anche l’altro (eventuale) concorrente, Leodori, è giovane e dinamico, ma ha una solida appartenenza all’area del ministro Dario Franceschini e del segreterio del Pd regionale Bruno Astorre: una filiera che qui da sempre fa la differenza. Per la cronaca, in città si parla di un terzo eventuale: Enrico Gasbarra, lungo pedigréee politico, altro amico del presidente.

Rinnovare tutto

Il fatto è che nel Pd del Lazio le caselle future sono tutte per aria. C’è da decidere il segretario cittadino: l’uscente Andrea Casu ha finito il mandato, ma il congresso va al ralenti. In autunno “scade” anche il segretario regionale. Su tutta la partita aleggia la riffa per i prossimi seggi da deputato e senatore, e poi eurodeputato. Chi entra e chi esce, un gioco di incastri diabolico, le correnti si guardano in cagnesco. «Chi farà il segretario deve farlo per cinque anni, dobbiamo promuovere una nuova generazione di militanti», spiega ad esempio Claudio Mancini, deputato molto molto vicino al sindaco. Tradotto: chi farà il segretario non dovrebbe avere troppo presto ambizioni da parlamentare.

Ecco perché non è poi così presto per cominciare la partita della regione. Dall’altra parte le destre laziali sta nei guai: il designato Francesco Lollobrigida, fratello d’Italia, sente profumo di governo nazionale – le regionali si voteranno lo stesso giorno delle politiche – e si vede ministro.

Per tutto questo D’Amato batte un colpo. «Ma no» insiste lui, intercettato ieri a Roma all’“agorà” con Zingaretti ed Enrico Letta (che lo stima), «ho solo detto che metto a disposizione il lavoro che fin qui è stato svolto, non è solo il contrasto della pandemia. Il Lazio, dopo dodici anni, è uscito dal commissariamento della sanità. Rappresentava più della metà dei disavanzi regionali. Oggi è in posizione completamente diversa. C’è chi parla di “modello Lazio”, non sta a me dirlo.

Ma metto a servizio della coalizione questo lavoro nel segno di una continuità amministrativa». C’è chi sospetta che l’assessore si porti avanti per un’altra vicenda: in queste ore il suo lavoro viene tirato in ballo alla voce Spallanzani, l’Istituto per le Malattie Infettive eccellenza della ricerca sul vaccino anti Covid, accusato di relazioni pericolose con i russi. D’Amato si dichiara per niente preoccupato: «È stato fatto tutto nella massima trasparenza».

La coalizione

A preoccupare semmai è la tenuta della coalizione. Zingaretti, da sempre nume tutelare dell’asse giallorosso, ha due assessori M5s in giunta. E adesso deve assorbire gli urti provenienti dalle frizioni nazionali fra Conte e Letta. E quelli dal Campidoglio, causa inceneritore deciso da Gualtieri, e che i grillini contestano. Zingaretti media: “copre” Gualtieri ma assicura agli alleati che la Pisana non darà un formale ok all’opera (del resto non serve). Letta ieri all’agorà ha celebrato la sua amicizia con Zingaretti, da «timoniere» a «responsabile delle vele» nella barca Pd.

Nel futuro parlamento gli ha riservato un posto d’onore. Il presidente però intanto deve timonare a casa sua. Per questo si mantiene fuori dalla competizione per il successore. «Ho vinto tre elezioni in 14 anni», ha spiegato ieri a un amico, «il mio contributo mi sembra di averlo dato. Farò altro. Ora però è fondamentale per questi dieci mesi, che sono tanti, continuare a ben governare la regione. Tutti devono essere concentrati solo su questo obiettivo».

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