«Chi comanda in Algeria?», si chiedevano esperti e giornalisti quando nel 2019 una protesta spontanea ha portato alle dimissioni del presidente Abdelaziz Bouteflika, in teoria al potere da quasi 30 anni ma che dopo un ictus da sei anni non si rivolgeva più in pubblico ai suoi cittadini.

Ancora oggi, mentre Giorgia Meloni incontra il nuovo presidente Abdelmadjid Tebboune per consolidare la relazione sempre più stretta tra i due paesi avviata un anno fa con la visita di Draghi, la domanda è più importante che mai. Partner energetico fondamentale per l’Europa, ma rivale di un altro alleato chiave come il Marocco; paese apparentemente stabile, ma opaco nelle sue dinamiche; collaboratore nella lotta al terrorismo, ma neutrale sulla Russia e ostile ad Israele. Per i capi di governo dell’Europa Mediterranea, l’Algeria è un enigma difficile da decifrare.

Le Pouvoir

Chi comanda in Algeria? La risposta che danno i suoi abitanti è piuttosto semplice: a comandare è le Pouvoir, il potere: un misterioso e non definito gruppo di militari, alti funzionari e politici spesso legati alla generazione che ha condotto la guerra di liberazione dalla Francia negli anni Sessanta. Gli accademici che studiano il paese, sostanzialmente concordano. L’Algeria è una “democrazia controllata”, scrivono, dove le elezioni servono essenzialmente a decidere quale fazione dell’élite andrà al potere. Tra loro al massimo si dividono su dove risiede il vero potere, se tra i militari o nei circoli di funzionari non eletti.

Le elezioni del 2019 che hanno portato alla vittoria di Tebboune, con oltre il 50 per cento dei voti su un’affluenza del 40, hanno fatto sperare per un breve periodo che le cose nel paese potessero cambiare. Ma Tebboune, più volte ministro e primo ministro, si è confermato una figura organica a le Pouvoir e le sue promesse di riforme e di sostegno alla rivoluzione “Hirak” del 2019, che lo ha indirettamente portato al potere, si sono rivelate vuote. Con la scusa della pandemia il governo ha proibito proteste e manifestazioni, mentre giornalisti e dissidenti sono tornati ad essere perseguitati.

Una delle analisi più severe sulla situazione in Algeria è arrivata proprio in questi giorni dall’ex ambasciatore francese Xavier Driencourt, che in un articolo pubblicato su Le Figaro dal titolo «L’Algeria andrà a fondo, si porterà dietro la Francia nella sua caduta?», critica il riavvicinamento con il paese portato avanti da Macron e dal suo governo nell’ultimo anno. «La “nuova Algeria”, secondo la formula in voga ad Algeri, si schianterà sotto i nostri occhi – ha scritto l’ex ambasciatore – Il regime ha mostrato il suo vero volto: quello di un sistema militare brutale, nascosto all’ombra di un potere civile».

Guerra e gas

La natura autocratica di un regime non ha mai impedito di farci affari in nome della realpolitik. E l’Algeria ha molto da dare all’Europa. Con lo scoppio della guerra in Ucraina e l’embargo alla Russia, i suoi giacimenti di gas e petrolio sono diventati una risorsa fondamentale. L’Italia è stato uno dei primi a consolidare le sue relazioni con Algeri.

Un accordo raggiunto da Draghi l’anno scorso ha portato ad un aumento delle forniture di gas algerino pari a 9 miliardi di metri cubi nel biennio 2023-2024. L’Algeria è diventata così il principale fornitore di gas all’Italia e il secondo dell’intera Europa.

Questo nonostante l’Algeria abbia mantenuto una posizione assolutamente neutrale sul conflitto. L’Algeria si rifiuta di condannare l’invasione Russia, che rimane uno dei suoi principali fornitori di armi, oltre che un partner strategico per il paese. La sua è comunque una neutralità “reale”, non un sostegno mascherato, come hanno mostrato i risultati deludenti della visita del ministro degli Esteri russo Lavrov ad Algeri la scorsa estate.

Negli Stati Uniti queste posizioni hanno spinto alcuni membri del Congresso a chiedere sanzioni nei confronti del paese. Un risultato che per il momento sembra improbabile. Il dipartimento di Stato americano sa bene che con una mitologia nazionale e una legittimazione delle élite costruita tutta sulla lotta di liberazione dal dominio francese e la decolonizzazione, gli argomenti anti-europei – e anti-francesi in particolare – hanno ancora una forte trazione nel paese. E lo hanno ancora di più dopo le crescenti aperture occidentali nei confronti dello storico rivale di Algeri: il regno del Marocco.

Guerra e confini

La tensione tra Algeria e Marocco ha raggiunto negli ultimi mesi un livello senza precedenti in epoca recente. In un’intervista la scorsa settimana il presidente francese Macron ha dovuto ricordare che «la tensione tra i due paesi è reale» e che vede tra alcuni attori un autentico «desiderio di ricorrere alla guerra» ma, ha aggiunto, che si rifiuta di credere «che la guerra possa diventare una realtà».

La rivalità tra i due paesi è di lunga data e oggi si incrocia con tutte le questioni più problematiche per la diplomazia internazionale: la gestione dei flussi migratori, la questione Israelo-palestinese, quella energetica e i rapporti con la Russia.

L’origine del conflitto è una irrisolta questione territoriale che ha al centro il Sahara occidentale, un vasto territorio in gran parte disabitato stretto tra deserto e mare nel quale da tempo si ipotizza la presenza di importanti giacimenti di materie prima, dai gas al fosfato. Gran parte del Sahara occidentale è di fatto amministrato dal Marocco (per questo a volte viene chiamato “l’ultima colonia” al mondo). Al governo marocchino si oppone il movimento Polisario degli Sharawi, gli abitanti della regione sostenuti apertamente sostenuti dall’Algeria. 

Quella degli Sharawi è una vicenda che la presidente del Consiglio Meloni conosce bene, avendo personalmente visitato i campi profughi in Algeria e avendo ricordato la loro lotta anche nel suo recente libro Io sono Giorgia. Da quando è arrivata al governo, Meloni non ha ancora confermato il suo sostegno agli Sharawi, e quindi all’Algeria, nella contesa. Ma visti i legami energetici tra Italia e Algeria, sostenere la loro causa al momento non appare in contrasto con i più immediati interessi politici italiani.

Algeria o Marocco?

A complicare il quadro, però, c’è il fatto che diversi paesi europei nel frattempo si sono gradualmente spostati su posizioni sempre più filo-marocchine. Lo scorso aprile, ad esempio, la Spagna ha ufficialmente appoggiato un piano di pace elaborato dal governo marocchino e respinto del Polisario, suscitando razioni indignate tanto dei rappresentati degli Sharawi quanto di Algeri. Un avvicinamento reso possibile anche dal ruolo chiave che il Marocco ha nell’intercettare i flussi di migranti diretti in Europa attraverso la Spagna.

Secondo gli osservatori, il governo marocchino ha giocato abilmente le sue carte in un periodo in cui la rivale Algeria era presa dai suoi problemi interni. La sua attività di lobbying in Europa è emersa nel corso del Qatargate, che visto il ruolo degli intermediari di Rabat alcuni sostengono dovrebbe chiamarsi Moroccogate.

Il governo di Rabat è riuscito anche in un abile manovra di avvicinamento agli Stati Uniti. Nel 2020 ha normalizzato le relazioni diplomatiche con Israele e ha ottenuto in cambio il riconoscimento da parte della presidenza Trump della sua sovranità sul Sahara Occidentale (oltre che un contratto di vendita di droni e altre armi). L’accordo con Israele, nel frattempo, ha reso ancora più tese le relazioni con l’Algeria, che anche in virtù della sua forte tradizione anti-coloniale, rimane uno dei paesi nordafricani più critici sulla situazione in Palestina.

Infine, il Marocco ha preso una netta posizione sulla guerra in Ucraina, schierandosi apertamente con il blocco occidentale. Insieme alla Tunisia, è l’unico paese nordafricano che fa parte del “gruppo di contatto” con cui Nato e alleati coordinano l’invio di armi in Ucraina. Secondo diversi media algerini, il Marocco ha inviato in Ucraina venti carri armati di produzione sovietica T-72 che si trovavano in Cechia per una modernizzazione.

Con la crisi energetica in corso, Europa e Italia hanno poca scelta oltre a quella di rafforzare i legami con Algeri. Ma prevedere dove questo ci porterà e dove porterà l’Algeria resta molto più difficile da determinare.

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