Presidenzialismo sì, presidenzialismo no, anzi meglio il premierato forte, slogan affascinante ma da riempire di contenuto. In attesa di capire se ci sarà una bicamerale. Dopo tanti affanni, alla fine della giornata di incontri a Montecitorio, quello che resta è la sfilata di leader e capigruppo, in ghingheri per le consultazioni sulle riforme. Con la squadra di governo in massa presente agli incontri. Con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, c’erano i due vice, Matteo Salvini e Antonio Tajani, i sottosegretari Alfredo Mantovano e Giovambattista Fazzolari e altri ministri. Un’intera giornata di parole, da mezzogiorno a sera.

Modello made in Italy

Spente le luci della ribalta mediatica, resta un effetto déjà vu con il no a prescindere dei rossoverdi, l’ampia disponibilità di Azione-Italia viva, e le siderali distanze tra centrodestra sia con il Partito democratico che con il Movimento 5 stelle. Un giro a vuoto che non ha sorpreso: fin dalla mattina la presidente del Consiglio Meloni si è presentata nella biblioteca del presidente alla Camera «senza una strada definita», come ha affermato, pur confermando l’intenzione di tirare dritto: la modifica della Costituzione è «la più potente riforma economica che possiamo realizzare», ha rilanciato.

La premier, nel vortice di spin fatti filtrare da palazzo Chigi, ha teorizzato un sistema di governo con peculiarità proprie: «Non è detto che l’Italia non possa immaginare un suo modello, ne avremmo diritto. E ne possiamo inventare anche uno migliore». La fantasia italica al potere, che consegna la riflessione sull’assenza di una proposta iniziale. Ma che intanto consente di prendere tempo e di congelare i nodi governativi irrisolti. Su tutti il Pnrr.

In attesa dell’idea innovativa sul sistema di governo italiano, nell’arena del confronto è stato calato un tris di ipotesi, spaziando dal presidenzialismo al premierato. Sono stati solo titoli. E non occorrevano i faccia a faccia per apprendere che si tratta di proposte divisive. L’unico dato politico, emerso alla Camera nelle ultime ore, è che ci sarebbe un “coniglio dal cilindro”: un modello simil-tedesco, un cancellierato riveduto e corretto, con l’introduzione del meccanismo della sfiducia costruttiva. C’è chi azzarda che con questo approccio si potrebbe arrivare a un via libera con numeri larghissimi, tali da scongiurare il ricorso al referendum.

Pd alla tedesca

Il Partito democratico ha lasciato intendere che valuterebbe la proposta di un cancellierato made in Italy. «Possiamo ragionare su ipotesi che garantiscano maggiore governabilità e rappresentanza», è la posizione che la segretaria del Pd, Elly Schlein, ha portato al tavolo con il governo.

La tesi dell’Aventino dem è stata smentita. «Al confronto non ci si sottrae mai, ma che sia un confronto vero e largo, e non già deciso perché vogliono andare avanti a prescindere», ha detto la leader dem, aggiungendo. «Non possono pensare di discutere di presidenzialismo mentre tirano dritti sull'autonomia differenziata». Schlein ha comunque fiutato l’aria del trappolone con un dibattito tutto avvitato sulle riforme che finisce per mettere ai margini «economia e sanità». Sono queste «le priorità del paese», ha ripetuto, cozzando con la visione di Meloni che narra delle riforme come la manovra economica più importante.

Sul punto l’Alleanza verdi-sinistra è stata categorica: «Non servono misure che rafforzino ancora di più l’esecutivo a scapito del potere legislativo e della rappresentanza della qualità della democrazia di questo paese», ha sentenziato il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni. La linea è di inchiodare la maggioranza a governare, pensando al lavoro, all’economia. I problemi reali del paese, che il centrodestra usava in passato come propaganda contro gli avversari. Ma Meloni ha voluto il confronto sulle riforme e non c’è modo di esimersi, pena l’accusa di non aver rifiutato il dialogo a priori.

Commissione ballerina

Così si torna al modello tedesco su cui non ci sarebbe l’ostracismo di Giuseppe Conte. Questa formula sarebbe gradita in linea di massima dal Movimento 5 stelle, fanno filtrate fonti vicine all’ex presidente del Consiglio. Conte ha lasciato intendere che «non c’è condivisione sulle soluzioni». E sul tavolo ha messo «una commissione ad hoc», che ha trovato una certa freddezza nella premier: «Ci sono già le commissioni parlamentari».

La porta è rimasta aperta sull’ipotesi «purché non ci siano intenti dilatori». Opzione non scartata nemmeno da Azione e Italia viva, che più in generale con Carlo Calenda ha rilanciato la volontà di dialogo citando il «sindaco d'Italia», caro all’alleato-avversario Matteo Renzi. Mentre per Schlein «spetta alla destra» indicare lo strumento.

Al netto delle dichiarazioni di intenti, Meloni potrebbe accettare una bicamerale o uno strumento affine solo con un accordo di massima già in tasca. L’impianto della riforma deve essere condiviso, la commissione sarebbe chiamata a limare il testo finale. Per questo ha lasciato l’opzione sullo sfondo, «purché non abbia intenti dilatori».

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