Tra l’horror e la barzelletta, radiografia del caso Almasri

Le 92 pagine della richiesta di autorizzazione a procedere nei riguardi dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, nonché del sottosegretario Alfredo Mantovano, potrebbero essere la trama di un film horror, che culmina nel rilascio di Almasri. Dal testo del Tribunale dei ministri emerge una imbarazzante serie di contraddizioni e omissioni, e palesi appaiono le discrasie rispetto a quanto Nordio riferì in parlamento sulla vicenda. La nullità del mandato Il Guardasigilli basò la sua informativa sulla circostanza che il mandato di arresto della Corte penale internazionale (CPI) verso Almasri fosse nullo per una serie di errori. Le giudici del Tribunale dei ministri lo smentiscono. Dal confronto tra il testo del 18 gennaio 2025 e quello del 24 gennaio, con cui la Corte rettificò gli errori, emerge che le differenze sono per lo più «correzioni grammaticali e sfumature linguistiche». «L’unica modifica sostanziale» è quella «dell'anno a partire dal quale i reati sarebbero stati commessi», ma è «verosimile che fosse un errore materiale», dato che nella premessa del mandato i reati erano riferiti alla data giusta. Dunque, dice il Tribunale, gli errori non invalidavano l’atto. Bugie, segreti e depistaggi del governo su Almasri. E Meloni grida al complotto La discrezionalità In parlamento Nordio rivendicò il suo potere di valutazione discrezionale circa il dare seguito o meno al mandato di arresto di Almasri. Il Tribunale lo smentisce, attraverso richiami testuali a disposizioni dello Statuto di Roma, istitutivo della CPI, che escludono qualunque margine di discrezionalità. L’obbligo di cooperare con la Corte, sancito dallo Statuto, «giammai sarebbe compatibile con la previsione di un potere di veto in capo a colui il quale (nel nostro caso il Ministro della Giustizia) è deputato (…) a dar seguito alle richieste di cooperazione. Ciò proprio per la ragion d'essere della CPI, istituita per indagare e perseguire gli autori dei più gravi crimini contro l’umanità». Nordio aveva anche detto che il tempo necessario a confrontarsi con altri ministri coinvolti non gli avrebbe consentito di rispettare i termini per valutare il fermo di Almasri. Le giudici confutano pure questo. «Il Ministro della Giustizia aveva avuto il tempo di interloquire con gli altri vertici istituzionali e (…) dar corso alla richiesta di arresto provvisorio e di sequestro, ove avesse voluto». Dunque, la sua inerzia non è «dipesa dalla mancanza di tempo sufficiente, ma, piuttosto, può fondatamente ritenersi che sia imputabile ad una scelta consapevole e volontaria». Il Tribunale precisa pure che non regge la giustificazione della “richiesta concorrente” di estradizione proveniente dalla Libia, usata per spiegare il mancato tempestivo riscontro di Nordio alla CPI. Tale richiesta era stata protocollata solo dopo il rimpatrio di Almasri, risultava priva di ogni documento giustificativo e «tecnicamente» non era nemmeno un’istanza di estradizione. E, comunque, la richiesta della CPI sarebbe stata prevalente. Le due versioni su Almasri: «È pericoloso, no ci è amico». Così Bartolozzi resta in bilico Il pericolo di ritorsioni Le giudici smontano anche l’argomento del pericolo di ritorsioni ai danni di cittadini italiani e di interessi nazionali in Libia, che solo molto dopo l’inizio della vicenda è stato accampato come “scriminante” – cioè come causa di giustificazione per il rilascio di Almasri – la quale renderebbe non perseguibili i soggetti responsabili. Per il Tribunale non si tratta di una scriminante perché non presenta gli elementi previsti dalla legge, vale a dire «un pericolo attuale, che si concreta nell'imminenza di un danno grave alla persona». «Nessuna delle paventate generiche ritorsioni si era estrinsecata in una minaccia concreta, dotata di una certa consistenza», non risultando rilevante «il generico timore di future rappresaglie». Né fu «in alcun modo vagliata la possibilità di trovare soluzioni alternative» al rilascio del generale. Il Tribunale, poi, reputa che il decreto di espulsione del generale, motivato da Piantedosi in termini di ordine e sicurezza pubblica, fosse viziato da palese irrazionalità. Lo dimostrerebbe, tra l’altro, il «risultato paradossale» di ricondurre il carceriere in Libia, dove poteva proseguire i crimini di cui è accusato, mentre la sua pericolosità in Italia non era comprovata da reati commessi nel paese. Caso Almasri, una banda allo sbando. L’autocomplotto di Meloni L’atto politico Sul tema della qualificazione del rimpatrio di Almasri come “atto politico” ruoterà la discussione in parlamento circa l’autorizzazione a procedere nei riguardi dei componenti del governo. La Camera dovrà valutare se il suo rilascio sia avvenuto «per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico» (l. n. 1/1989), e quindi se gli inquisiti abbiano posto in essere un atto politico. Quest’ultimo è, infatti, insindacabile dai magistrati. Le giudici escludono che la liberazione di Almasri rientri tra gli atti politici. La sua consegna alla CPI era oggetto di un obbligo di legge, il cui assolvimento è sempre «suscettibile di sindacato» giurisdizionale. Questo principio è stato ribadito di recente pure dalla Cassazione a Sezioni Unite: quando un'azione di governo sia circoscritta da «vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini e ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell'atto, sindacabile nelle sedi appropriate». Cospito, Uss e Almasri: perché Nordio deve salvare la sua zarina Bartolozzi Horror o barzelletta Vi sarebbero altri profili di cui trattare - dalla traduzione del mandato in italiano, che secondo Nordio era mancante, e invece c’era, all’uso del volo di stato - ma su un punto specifico serve infine soffermarsi. Dalle carte emerge che Nordio aveva dato disposizioni per «bloccare ogni comunicazione con la CPI», al fine di «evitare, finanche, l'arrivo degli atti agli uffici tecnici del DAG» (Dipartimento affari giustizia), che però «si erano attivati per acquisirli di loro iniziativa, proprio perché preoccupati della necessità di adozione di provvedimenti urgenti». Un ministro che “blocca” i messaggi della Corte penale internazionale, come su un social: se non fosse un horror, sarebbe una barzelletta.