Il Movimento 5 stelle non si presenta alle elezioni suppletive. Nelle principali città dove ha trovato l’accordo con il Partito democratico il candidato sindaco è o un esponente dem (Bologna) o inviso alla base (Napoli). In quelle in cui il Movimento corre da solo nessun candidato – tranne forse Virginia Raggi a Roma – ha possibilità di vittoria.

Eppure i Cinque stelle sono la principale forza parlamentare, sono stati in maggioranza negli ultimi tre governi e, nel 2018, hanno ottenuto quasi 11 milioni di voti, pari al 32 per cento. Ora questo ricco tesoretto elettorale è terreno di conquista e la responsabilità politica è in buona parte del leader da poco incoronato, Giuseppe Conte.

Sue sono state le strategie di alleanza e anche di desistenza in alcuni territori, su di lui peserà l’inevitabile ridimensionamento elettorale. I suoi sostenitori sottolineano un dato di realtà: i Cinque stelle sono da sempre un partito di opinione più che di amministrazione e la forbice tra il voto politico e quello delle comunali è sempre stata larga. I suoi detrattori, invece, gli imputano di non aver saputo governare il marasma interno.

La scelta di non presentare nessuno alle suppletive di Siena, dove corre il segretario dem Enrico Letta, è giustificabile nell’ottica dell’alleanza con il Pd, mentre a creare malumori è stata la decisione di “desistere” anche a Roma. A inizio estate proprio Conte doveva essere il candidato nel collegio di Roma Primavalle, dove la dimissionaria Cinque stelle Emanuela Del Re aveva vinto con il 35 per cento nel 2018. Invece, dopo un faccia a faccia sfociato in uno scontro con i deputati romani, vista anche l’incertezza del risultato, il leader ha deciso di non presentare nessuno.

La scelta è stata molto sgradita non solo perché si tratta di una ritirata in un seggio che era stato vinto, ma anche perché in questo modo il Movimento viene penalizzato nell’ottica delle comunali dove Raggi ha bisogno di tutto l’aiuto possibile per arrivare al ballottaggio.

L’alleanza nei comuni

Anche sul piano delle alleanze per le amministrative, il Movimento sembra aver accettato un compromesso che favorisce soprattutto il Pd. In tutti i comuni grandi e piccoli dove corre insieme ai dem, infatti, il candidato sindaco è di area centrosinistra. Vale soprattutto per Bologna, dove i Cinque stelle sostengono Matteo Lepore, erede dell’ortodossia dem della città. Vale per Napoli, dove il candidato di coalizione è l’ex ministro del governo Conte II Gaetano Manfredi, un tecnico non distante dal M5s ma culturalmente affine al Pd (tra il 2006 e il 2008 è stato consigliere tecnico del “bassoliniano” Luigi Nicolais, ministro del secondo governo Prodi). Vale infine anche nei comuni più piccoli come Ravenna, dove i grillini sostengono il sindaco uscente ed ex segretario del Pd locale Michele De Pascale. In nessun centro, invece, è il Pd a sostenere un candidato sindaco del M5s.

Tecnicamente potrebbe essere colpa della separazione da Davide Casaleggio e dalla piattaforma Rousseau che ha reso più complicate le operazioni di scelta online dei candidati. Dal punto di vista politico, invece, hanno sicuramente pesato le divisioni interne al Movimento a livello territoriale: non si contano i consiglieri comunali che hanno abbandonato i grillini nel corso dei cinque anni di mandato e che ora si candidano con proprie liste civiche, seguendo le orme del sindaco di Parma Federico Pizzarotti. Il risultato pratico è che il Pd – che pure spesso è stato accusato di sudditanza nei confronti del Movimento – si è alleato con i Cinque stelle solo dove è riuscito a trovare l’accordo su un candidato gradito.

Candidature autonome

Lì dove i Cinque stelle corrono da soli, infine, le candidature rischiano di essere solo di testimonianza. Tra le grandi città è il caso di Milano, dove è stata individuata in extremis la manager Layla Pavone (nominata per acclamazione dopo il ritiro di Elena Sironi), che quasi sicuramente appoggerà il favorito Beppe Sala in caso di ballottaggio. Discorso a parte va fatto per le due città attualmente governate dai Cinque stelle: Torino e Roma. In entrambe ci sono stati tentativi di convergenza con i democratici, ma la base, tanto del Pd quanto del M5s si è ribellata. Risultato: a Torino è Valentina Sganga a provare a seguire le orme di Chiara Appendino ma i sondaggi la classificano per terza, dietro al candidato dem Stefano Lo Russo e al favorito di centrodestra Paolo Damilano.

L’unica città in cui il Movimento ha possibilità di arrivare al ballottaggio è Roma, paradossalmente con una candidata poco amata da una parte dei grillini, nazionali e romani. La sindaca uscente Raggi, infatti, ha lanciato la sua ricandidatura senza aspettare il placet del vertice e, per rimanere in gara, ha derogato a un altro dei dogmi dei Cinque stelle: corre infatti con sei liste civiche a suo sostegno e non solo con quella del Movimento.

Le amministrative non avranno riverberi sulla tenuta del governo Draghi, ma peseranno nelle dinamiche interne alla ancora incerta coalizione giallorossa e dentro un Movimento sempre più in crisi di consensi. E in bilico potrebbe già finire la leadership di Conte.

 

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