Sinistra Italiana e Verdi propongono, come capolista alla Camera in Abruzzo, una donna eritrea 42enne, che ha passato una vita nel terzo settore ed è in Italia da quando è bambina. Rahel Seium è una mediatrice culturale e a Pescara lavora con l’Arci locale. Ma è anche la presidente europea di Ypfdj, l’organizzazione giovanile del Fronte popolare per la democrazia e la giustizia (PFDJ), partito unico di Isaias Afewerki, al potere in Eritrea dal 1993.

Il liberatore della guerra con l’Etiopia dei primi anni Novanta ha trasformato il paese in una trentennale dittatura che impone una leva obbligatoria perenne, sottopone la popolazione civile a numerosi casi di violenza e impera nella totale assenza di libertà fondamentali quali quella religiosa, di pensiero e di informazione.

La dittatura

L’Eritrea è uno dei cinque paesi ad aver votato, il 2 marzo 2022, contro la sospensione delle ostilità in Ucraina, in sede Onu, insieme a Russia, Siria, Bielorussia e Corea del Nord. A Pyongyang, ogni anno, la dittatura di Afewerki contende l’ultimo posto nella classifica sulla libertà di stampa diffusa da Reporter senza frontiere. Alleata dell’Etiopia, l’Eritrea è inoltre attivamente impegnata nel disastro umanitario in atto in Tigray, conflitto che si è riacceso questo settembre.

Tornando a Ypfdj, si tratta ufficialmente di un’associazione mondiale che riunisce la diaspora eritrea. Organizza annualmente un meeting, ogni volta in una città diversa, dove centinaia di giovani si incontrano e trascorrono qualche giorno insieme per mantenere stretti i legami tra i migranti eritrei nel mondo. Non proprio tra tutti, però.

Nel luglio 2014 alcuni oppositori del regime di Eritrea democratica hanno contestato a Bologna uno di questi incontri. Nell’estate 2018 il ritrovo europeo della diaspora è stato invece bloccato da un’ordinanza di Jack Mikkers, sindaco di Veldhoven, città olandese dove si doveva svolgere l’evento. Quest’anno, a cavallo di Pasqua 2022, una quattro giorni del meeting Ypfdj si è tenuta in un hotel in provincia di Roma, a Pomezia.

Dopo due anni di pausa per Covid, la scelta è ricaduta su un hotel isolato nei pressi della Capitale. I partecipanti sono stati prelevati da delle navette in aeroporto, senza conoscere fino all’ultimo la destinazione, sede dell’incontro. Tutto questo per evitare contestatori, curiosi e giornalisti «al soldo dell’occidente».

L’incontro blindato

In una sala conferenze blindata, perimetrata da bodyguard con radiolina, sono intervenuti gli ambasciatori eritrei presso le principali cancellerie europee ma anche rappresentanti di alto livello del governo, come il capo di gabinetto e vice del dittatore, Yemane Gebreab, che, pochi giorni dopo l’incontro romano, il 28 aprile, sarebbe volato a Mosca, su invito del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, «per concordare misure concrete in vista di un rafforzamento dei rapporti tra i due paesi».

Tra gli ospiti della convention più attesi c’era poi Simon Tesfamariam, fautore del movimento #nomore, una campagna supportata da attivisti etiopi ed eritrei contro la disinformazione occidentale nel Corno d’Africa.

Simon è direttore del New African Institute, un «think tank indipendente», che ha prodotto un solo studio: un report, scritto dallo stesso Simon, che utilizza discutibili tecniche di fact checking per dimostrare l’inesistenza delle prove di uso della violenza da parte dell’esercito eritreo nel conflitto contro i ribelli del Tigray.

Nel pamphlet l’autore accusa l’occidente di aver prodotto false prove sui crimini di guerra delle forze militari etiopi ed eritree nel Tigray. Qualcosa di molto diverso da quanto sostenuto dai rapporti delle organizzazioni internazionali, tra gli ultimi quello del Joint Investigation Team (Jit) della Ethiopian Human Rights Commission (Ehrc) e della United Nations Human Rights Office (Unhr) che denunciano la sistematica violazione dei diritti umani da parte di tutte le parti in conflitto.

La replica

La candidata Seium, contattata da Domani, non risponde a domande sul tema. Niente di nuovo, considerando che nessuno tra i partecipanti all’ultima conferenza Ypfdj ha risposto quando interpellato sul contenuto degli incontri, incluso l’ambasciatore eritreo in Italia, Pietros Menghistu.

SI e Verdi, con Alessandro Monaco del direttivo regionale di Europa Verde, affermano di aver candidato la donna «per il suo impegno nel mondo delle migrazioni con il suo lavoro in Arci Pescara». Al partito non risulta che Ypfdj sia un’organizzazione legata al regime eritreo.

Gli scopi dell’associazione sono più chiari a Rahel che, in un video pubblicato da un media ufficiale di governo su YouTube, elogia il lavoro di Ypfdj in continuità con quello del partito in patria.

Arci Pescara, con il suo presidente locale Valerio Antonio Tiberio, «sostiene la sua candidata» e invita a valutare la complessità della storia di paesi «su cui non è possibile una posizione netta, da occidentali, mentre Rahel è una migrante che rappresenta le istanze di migliaia senza voce». Non di quelli che ancora ogni anno – oltre 1.600 gli eritrei arrivati nel solo 2022 – sbarcano sulle coste italiane fuggendo da una delle più dure dittature del mondo.

© Riproduzione riservata