La Cop26 si è conclusa con l’impegno dei paesi partecipanti a mettere un freno all’utilizzo di combustibili fossili e a passare ad un modello energetico green e sostenibile, per limitare gli effetti del cambiamento climatico.

Ma guardando alle missioni militari a cui partecipa l’Italia e alla posizione assunta dalla Nato in tema di sicurezza energetica è difficile immaginare un cambio di passo nel breve periodo.

Come evidenziato dal report di Greenpeace, Ue, Nato, Italia, Spagna e Germania continuano ad approvare operazioni a difesa delle attività di ricerca, estrazione e importazione di gas e petrolio nel mondo.

Le zone di interesse sono il Corno d’Africa, il mar Mediterraneo, il Golfo di Guinea e il medio oriente, con la recente aggiunta del Mozambico che secondo Bruxelles potrebbe diventare uno dei maggiori produttori mondiali di gas, se non fosse per i problemi legati alla sicurezza.

Colpisce il dato italiano: circa il 64 per cento delle risorse per le missioni militari è destinato a questo tipo di operazioni, per un totale di quasi 800 milioni di euro spesi nel solo 2021 e di 2,4 miliardi di euro negli ultimi quattro anni.

Da questi dati è possibile capire quanto la tutela della sicurezza energetica sia prioritaria per il ministero della Difesa, che in più di un’occasione ha anche collegato la presenza italiana in determinati scenari alla necessità di proteggere gli asset estrattivi dell’Eni.

Africa e Maghreb

La missione “Mare sicuro” al largo delle coste libiche, specifica Greenpeace, mette al primo posto proprio «la sorveglianza e la protezione delle piattaforme Eni» presenti nell’area, oltre all’addestramento della Guardia costiera libica. Altra operazione che vede il coinvolgimento italiano a tutela degli interessi (anche) energetici nazionali in Libia è la “Missione bilaterale di assistenza e supporto a favore delle forze di sicurezza locali”, che nel 2021 ha avuto un costo di circa 47 milioni di euro.

Tra le operazioni riconfermate nel 2021 rientra poi Gabinia, attiva nel Golfo di Guinea sotto l’egida dell’Onu, il cui costo è passato da 9,8 a 23,3 milioni di euro. Secondo quanto si legge nella relazione trasmessa al parlamento, tra gli obiettivi della missione nata per contrastare la pirateria vi è quello di «proteggere gli asset estrattivi di Eni», che ha delle piattaforme offshore in Nigeria e in Ghana.

Lo stesso ministro della Difesa aveva precisato quanto importante fosse l’area per l’azienda italiana e più in generale per gli interessi energetici nazionali. Inoltre, ricorda il report, il 6 luglio 2021 l’allora capo di Stato maggiore della Marina militare, l’ammiraglio Cavo Dragone, e l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, hanno firmato un protocollo di intesa per garantire la sicurezza marittima ed energetica a protezione degli interessi nazionali.

Interessi particolarmente rilevanti, se si considera che l’Eni ricava circa 60 milioni di barili di petrolio da Angola, Nigeria e Ghana, oltre a miliardi di metri cubi di gas l’anno.

Altra missione, questa volta a guida Ue, che vede la partecipazione dell’Italia è la Training Mission in Somalia, sorella dell’operazione antipirateria Atalanta. Per il ministro Lorenzo Guerini, il contributo italiano nel paese africano in entrambe le missioni è diretto alla stabilizzazione della regione del Corno d’Africa e alla tutela dei traffici marittimi, da cui Roma dipende.

Mediterraneo e Medio oriente

Anche la presenza italiana in Iraq si poggia sulla protezione degli interessi energetici nazionali, come ribadito da Guerini a luglio del 2021. Roma ha dispiegato nel paese mediorientale 280 militari nella missione Nato e altri 900 nell’ambito della Coalizione globale anti Isis, per una spesa rispettivamente di 15,5 milioni e di circa 231 milioni nel solo 2021.

Come evidenziato dal report di Greenpeace, la presenza italiana in Iraq è strettamente legata all’iniziativa europea per la tutela della sicurezza dello Stretto di Hormuz (Maritime Awareness in the Strait of Hormuz). Quest’ultimo è uno snodo centrale per il transito di petrolio il cui blocco metterebbe a repentaglio l’approvvigionamento commerciale ed energetico mondiale, oltre che italiano.

Ma gli occhi di Guerini sono puntati principalmente sul Mediterraneo orientale, le cui potenzialità energetiche interessano anche l’Eni. L’azienda, insieme alle italiane Saipem e Snam, fa parte dell’East mediterranean gas forum, nato per lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi presenti nell’area.

Il progetto però deve fare i conti con la tensione tra Cipro e Turchia. A fronte di ciò, la Difesa si è più volte detta disponibile ad intervenire per tutelare gli interessi nazionali nell’area e continua a monitorare la situazione in accordo con l’Eni.

A legare la Difesa e l’azienda italiana è anche lo sfruttamento delle risorse a largo del Libano. Nel 2021 l’Italia si è candidata a partecipare alla Forza marittima di Unifil (la missione Nato attiva in Libano dal 1978), al fine di tutelare le «prerogative legittime di sfruttamento delle risorse energetiche» dell’area. A febbraio del 2018, infatti, l’Eni aveva firmato con Beirut due contratti di esplorazione e produzione di due blocchi situati nelle acque profonde dell’offshore libanese.

Il caso Mozambico

Il prossimo capitolo nella relazione Difesa-Eni potrebbe riguardare invece il Mozambico. Guerini è interessato a partecipare alla missione di addestramento istituita a luglio dal Consiglio dell’Unione europea nel paese africano per la protezione della popolazione civile e per il ripristino della sicurezza nella provincia di Cabo Delgado. Come specificato dal ministro, l’area è ricca di risorse energetiche ed è da tempo al centro degli interessi dell’Eni, operatore al 34% del blocco Coral South, appartenente al bacino offshore di Rovum, e coinvolto in maniera rilevante nel piano di sviluppo del complesso Mamba.

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