La primula di Stefano Boeri e Domenico Arcuri, avamposto del marketing vaccinale italiano dell’ormai ex governo, rimarrà soprattutto come immagine di una stagione politica e delle sue improbabili sintesi. Il padiglione dedicato al fiore che annuncia la primavera è sbocciato all’incontro di un «architetto un po’ fighetto milanese» (definizione sua, a Propaganda Live) e il muscolare commissario all’emergenza scelto dall’ex presidente del Consiglio per affrontare la più grave emergenza della storia repubblicana.

Da quando è stato pubblicato il bando (era il 20 gennaio, sembra già un’epoca fa, intanto è già scaduto qualche giorno fa) si è scritto e detto di tutto e il modo migliore per calarsi nell’ultima istruttiva polemica del vecchio esecutivo è tuffarsi di testa.

I problemi

Lo facciamo innanzitutto con Carlo Quintelli, professore di composizione architettonica e urbana all’università di Parma, perché è stato Quintelli a lanciare il dibattito sulle falle progettuali, di pensiero e di strategia della primula, quasi un’agnizione sull’esito del governo che l’aveva promossa come brand della ripartenza. Di condivisione in condivisione, il post Facebook di Quintelli è diventato il manifesto della rivolta dell’architettura italiana contro i padiglioni per le vaccinazioni.

In sintesi: la creatura del boerismo e dell’arcurismo ha problemi di tempistiche di costruzione, perché i trenta giorni per presentarlo chiavi in mano sono quanto meno ottimistici, infatti sono stati frettolosamente allungati a quarantacinque. Di tempistiche per arrivare all’immunizzazione collettiva, perché in un padiglione del genere si può andare al non esaltante ritmo di 27mila a trimestre («slow vaccination», dice Quintelli). Di numeri: dotazione base di 21, uno per capoluogo di regione, ma si può arrivare a 1.200, una forchetta piuttosto ampia anche per un governo in confusione terminale.

Di distribuzione degli spazi interni, con quelle atmosfere «da sommergibile» e lo scarso distanziamento. Di costi, previsti in 400mila euro a padiglione, un potenziale di spesa quasi mezzo miliardo di euro se li facessimo tutti. Di spazi urbani, perché «non sono molte le piazze italiane che possono contenere una struttura del genere», dice Quintelli.

Ma queste considerazioni contavano relativamente. La primula non era stata pensata tanto per portare a termine un’efficace campagna vaccinale, sui cui risultati influirà ben poco, quanto per condurla con fierezza e ottimismo.

Diceva Boeri a Propaganda: «Chi ha detto che emergenza e bellezza non possono andare insieme?». La primula era il governo che provava a dirci, ancora una volta, che sarebbe andato tutto bene, usando l’architettura e l’architetto come strumento pubblicitario e ideologico. Una versione colta e “fighetta” del metodo Casalino.

Sintomi da tardo impero

La primula è stata l’incontro tra due sistemi di potere, non ci porterà in sé alla fine della pandemia ma almeno è stata utile per capire come funzionavano certe cose in Italia al tempo dei patti giallorossi. Vale insomma più come sintomo che come cura.

La brutale domanda, per Quintelli, è: a cosa servono davvero questi 21 o 1.200 padiglioni? E chi ha usato chi, tra Arcuri e Boeri? La risposta è che si sono usati con profitto a vicenda, «in piena reciprocità».

Partiamo dal commissario, «da plenipotenziario in delirio di onnipotenza, di cosa aveva bisogno per amministrare un potere così grande e con così pochi limiti? Di immagine. La primula era la sua occasione per entrare fisicamente nel cuore delle città, è stata concepita come un monumento ad Arcuri più che ai vaccini, ci vedo una sintomatologia da tardo impero, il commissario che pensava di girare per le contrade a vedere i risultati della sua opera mentre le folle venivano trascinate a vaccinarsi dall’artista che lui aveva scelto per convincerle».

E c’era una sola persona che poteva costruire questo monumento equestre a Arcuri, per metodo e vicinanza politica, ed era Stefano Boeri, l’architetto di sistema, quello che ha codificato la pratica della progettazione innanzitutto come comunicazione, marketing, vendita, il profeta della struttura-logo.

«Stefano ha uno dei nasi più sviluppati al mondo per queste cose», dice Quintelli, «ha capito subito l’ingenuità, la poca cultura, il poco gusto di Arcuri, l’ha sedotto facendogli annusare un prodotto internazionale e glielo ha dato gratis, che per me è la chiave di tutto.

Boeri ha capito che regalando questo progetto avrebbe avuto il massimo ritorno da questa situazione, nessuna parcella valeva quanto la prospettiva di presentarsi insieme al commissario straordinario davanti alle Tv cinesi per presentare la struttura che vaccina gli italiani offrendo bellezza e charme».

Antonino Saggio è un teorico dell’architettura, ha osservato e partecipato al dispiegarsi della polemica, ammette di aver fatto anche lui dell’ironia alla prima visione di quel bando sconcertante pubblicato da Invitalia. «Mi ha preso in contropiede».

Dopo averci pensato un po’, preferisce una posizione più prudente, di prospettiva, da storiografo. «C’è acrimonia in Italia per quello che Boeri rappresenta, ma è la storia dell’architettura a essere andata in questa direzione: dall’oggettività della funzione alla soggettività del desiderio. La primula è una media campagna pubblicitaria. Con tanti soldi che si sprecano, non è certo il più grave».

Qui è la vaghezza del bando a rendere incerta la definizione dello spreco, la base sono quelle 21 primule (8,4 milioni di euro di spesa per l’infrastruttura), ma il commissario si riserva di ordinarne fino a 1.200, sono proprio due campionati diversi, non il tipo di incertezza sui conti che può essere gradita a Draghi, per dire.

Per Saggio il punto dei padiglioni di Boeri è che vanno giudicati culturalmente: «La primula è come lo Swatch, non interessa a nessuno il suo funzionamento, è il design che conta. È un problema epocale, non è colpa della povera primula».

E aggiunge: «Ho avuto l’illuminazione prenotando una vaccinazione sul sito della regione Lazio per un ottantenne. La farà all’Auditorium di Roma, è ovvio che il grosso sarà fatto in strutture del genere, poi se vogliamo fare qualche decina di padiglioni, come campagna di comunicazione, come fiore all’occhiello sulle bellezze del paese e su una certa capacità di reazione, non mettiamoci qui con la lupara».

Ma poi Arcuri è stato uno dei punti di crollo del governo, la lupara c’è effettivamente stata. Ma è un’altra storia.

Un regalo riciclato

Fiore all’occhiello, Swatch vaccinale, monumento all’ingegno italico, alla creatività come ingrediente della reazione nazionale: sarà anche vero, il problema è che quando si chiede in giro di giudicare la primula in base all’estetica, cioè come chiede di essere giudicata, i toni diventano se possibile anche più aspri.

Il sito Artribune l’ha paragonata, tra le altre cose, a un assorbente ultra con le ali piegate. Quintelli dice che se fosse l’inventore del logo del Conad chiederebbe le royalty per la somiglianza con l’immagine della primula. «Nella conferenza stampa di presentazione, Boeri ha citato Verrocchio, Pasolini, Leonardo. Ma quello è un ciambellone, che c’entra Verrocchio?».

Gianluca Peluffo, architetto e progettista con una lunga sequenza di premi e costruzioni nel curriculum, definisce il tutto «imbarazzante». Addirittura? «Hanno preso il progetto di Sejima per la Bocconi, l’hanno ridotto di un decimo, tagliato a fette e ci hanno messo la primula sopra. È il compito che può fare un bravo studente di architettura con accesso a molte riviste di settore».

Non la recensione dei sogni e se chiediamo una ragione, una spiegazione per tanta durezza, torniamo sempre lì, alla dinamica del dono ad Arcuri e all’Italia: «È come un regalo riciclato, fare le cose gratis è una mancanza di rispetto per il settore. I progetti non si regalano, è una cosa poco seria», dice Peluffo.

Ma lo ha fatto anche Renzo Piano col ponte di Genova. «E anche Piano ha sbagliato. E inoltre Boeri non è senatore a vita, non è un gigante, non è un maestro, è a un livello diverso». Davvero, Peluffo? «I titoli di archistar non si regalano, Piano è nella storia, Fuksas forse, Boeri no. Ripeto, non è un buon segno quando professionisti noti regalano progetti, viene il dubbio che il tuo lavoro non costi tanto. Farsi pagare è metterci la faccia. Altrimenti è come quando ti fai consigliare le tende dal cugino architetto, Arcuri ha il “cugino” da cui si fa fare i padiglioni».

E qui, nella “cuginanza” politica tra Boeri e Arcuri, arriviamo al cuore della primula come sintomo: la promiscuità tra l’architetto di sistema e il sistema stesso.

La storia di Boeri come politico e uomo vicino al Partito democratico è nota. «Nasce bene, innanzitutto», dice Stefano Casciani, critico d’architettura, direttore della rivista Disegno. «Figlio d’arte, Cini Boeri fu una delle poche architette dell’epoca, molto brava e rispettata a Milano».

Da ragazzo, Boeri sperimenta le asprezze dei movimenti studenteschi, da lì in poi il suo curriculum è una serie di transiti in centri di potere prima che di progetti. Il politecnico di Milano, dove insegnava urbanistica. Lo studio di Rem Koolhaas. E soprattutto la rivista Domus che per Casciani, che ne è stato vicedirettore, «gli è servita da vero trampolino di lancio per smettere di essere solo uno stimato professore».

A quel punto Boeri ha avuto due occasioni. Una è quella politica, nel 2010 si candida alle primarie come sindaco di Milano, le perde, diventa capogruppo del Pd e assessore alla cultura poco gradito a Pisapia, che infatti se ne libera appena gli è possibile.

E intanto c’è l’occasione progettuale, il Bosco verticale nel quartiere Isola a Milano, che in questa storia delle primule è un prologo, un grande precedente. «È un progetto bandiera, un edificio simbolico, che però non ha niente di innovativo dal punto di vista costruttivo o ecologico, è una torre di cemento con gli alberi dentro».

Gillo Dorfles lo definì «una trovatina» ma quella trovatina impone Boeri come architetto principe della sostenibilità e del verde urbano. A questo punto arriva Sala, al quale, a differenza di Pisapia, Boeri è invece legatissimo, al punto da essere il presidente di ForestaMi, il grande progetto di riforestazione urbana di Milano. Slogan: «L’albero più bello è quello che regali alla tua città».

Nel frattempo è diventato presidente della Triennale, «altro enorme centro di potere milanese». Per Boeri la politica come faccenda di voti e poltrone si è (per ora) chiusa con la giunta Pisapia, ma la politica come pratica architettonica si è espansa, è diventata metodo, sistema, e la primula è il suo fiore.

Pseudo-ecologismo

Il filo a legare i due progetti non è solo il feticismo botanico. Il padiglione primula stava alla rinascita italiana post-pandemica immaginata dal fu governo Conte come il Bosco verticale stava alla sostenibilità urbana: un manifesto, un brand, che poi funzioni o abbia un senso è un altro discorso, che alla fine diventa quasi irrilevante, come mettersi a spiegare la trama di uno spot. Col Bosco verticale Boeri è diventato quello che Quintelli definisce «sciamano del naturalismo».

Il giudizio è severo: «L’architettura si è ammantata di una salsa verde che non fa capire niente della forma, è tutto un grande pseudo-ecologismo, modesti interventi di edilizia commerciale che diventano un tempio nella foresta birmana, con tutto un germinare di piantine e rampicanti. Il punto forte è il render, non la realtà, anche perché assorbirebbe molta più CO2 un palazzo in pietra con un normale spazio verde orizzontale ai piedi».

Anche un collega come Peluffo è sferzante, questo è un settore in cui non si risparmiano colpi: «Il Bosco verticale è un prodotto da vendere, questo palazzo per ultra-miliardari è una foglia di fico, non è ecologia, perché l’ecologia è umiltà dell’uomo nei confronti della natura, non coprire di verde i terrazzi dei ricchi. E provo vergogna anche per questa immagine di sostenibilità urbana a misura di miliardario, non si risolvono i problemi delle città piantando alberi, ma con gli spazi pubblici e condivisi, combattendo la gentrificazione, evitando l’esclusione delle classi sociali».

Milanesizzare Roma

La primula, come ha scritto Antonio Ottomanelli su Artribune, è l’esportazione su scala nazionale del «modello Milano», nel senso di una di quelle forme di cosmesi che servono a coprire e distogliere lo sguardo dai problemi del disegno generale. «L’obiettivo non sembra essere quello di informare riguardo il vaccino, piuttosto rassicurare riguardo l’attività di governo». È un edificio hashtag.

Con il successo del piano vaccinale il progetto di Boeri ovviamente non avrebbe comunque avuto alcun legame. Riguardo al successo del piano personale di Boeri invece è un’altra storia. Qui c’è una chiave di lettura, la offre Casciani, da critico e osservatore delle cose di architettura. Sono solo speculazioni, ipotesi, ma l’idea è questa: «Boeri secondo me punta su Roma, la primula sarebbe in questo scenario un cavallo di Troia per entrare in certo contesto. Milano la sua occasione l’ha avuta, l’età dell’oro in architettura c’è stata e il futuro è la capitale, ci sarà un flusso di investimenti molto grosso, anche per la ripartenza della gestione post-Raggi».

E il problema è che tra le vittime collaterali di questo metodo c’è spesso l’architettura: «Questi progetti fanno passare nell’opinione pubblica, e quindi anche nella committenza, un’immagine quasi goliardica dell’architettura, l’idea che gli architetti facciano le cose con grande leggerezza, che sia tutto marketing, immagine, quando invece l’Italia è piena di architetti artigiani, che lavorano con la materia, che sono costruttori». Visti i tempi e il contesto, l’immagine dei costruttori non è nemmeno tra le più promettenti.

La versione di Boeri

Questa storia ovviamente ha un aspetto diverso dal punto di vista di Boeri. «Mi ha chiamato, a nome del governo, Arcuri, che non conoscevo, per costruire una campagna di vaccinazione dal punto di vista architettonico, sia di spazi che di immagine», risponde, contattato per un commento sul fiume di critiche, che dice di ritenere «utili», ma «solo quando servono a migliorare le cose. Per indole tendo a essere disponibile per cose di utilità sociale. Conosco la situazione delle emergenze in Italia, per aver lavorato sulle aree terremotate. Ci tenevo che i padiglioni fossero smontabili e rimontabili, per rimanere a disposizione della Protezione civile. Anche l’Anci è entusiasta, e abbiamo ricevuto richieste da mezzo mondo. Abbiamo consegnato il lavoro ed è partita la polemica».

Boeri difende tutti gli aspetti del progetto, da quelli tecnici («Sono disponibile a un confronto pubblico con chi critica») alla scelta del fiore. «È banale? Ma voleva esserlo! Semplice, popolare e non originale, perché fosse capito da tutti. Sa perché abbiamo scelto la primula? Ogni altro fiore era preso dalla politica».

E poi ci sono le osservazioni più delicate, il progetto per Arcuri come strumento di auto-promozione, di accreditamento: «Non penso di aver bisogno di pubblicità. Anzi, non è che a lavorare con Arcuri ci sia un guadagno di immagine. E sull’idea che io punti a Roma, non è che se uno lavora per il governo, poi costruisce a Roma, non funziona così. Quando facevo politica, facevo solo politica. Metta che a queste osservazioni si può rispondere solo con un sorriso».

La fortuna

Chiudiamo col giudizio di Saggio, che, come detto, non coltiva acrimonie, da teorico e storico giudica le cose con più distacco: «Boeri ha avuto tutte le leve più importanti della cultura italiana: nella vita c’è la bravura, ci sono le entrature, ci sono le conoscenze. E lui le ha avute tutte. E infine c’è la fortuna. Credo che Boeri sia soprattutto una persona fortunata».

E la primula, professore? «Il padiglione lo metteremo semmai a piazza del Popolo, ci faremo le foto, le facciamo girare nel mondo, nessuno ha mai pensato che fosse un modo per affrontare il problema della vaccinazione».

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