Il premier Giuseppe Conte le chiama «corpus», il latinorum ha sempre un fascino per l’ex avvocato del popolo. Le misure del nuovo Dpcm arriveranno stasera. I dettagli saranno mediaticamente oscurati dalla sfida Trump-Biden, ma palazzo Chigi vuole aspettare i nuovi dati dell’Istituto superiore di sanità sulla pandemia, che da ora saranno forniti due volte a settimana, non solo il venerdì. Ieri intanto è arrivato il sì delle camere.

Il coprifuoco ci sarà, ma nella fascia «più tarda», dalle 21 o dalle 22 e non alle 18 come era stato anticipato domenica, tanto per dare poi la sensazione di una concessione; centri commerciali chiusi nei giorni festivi e prefestivi (tranne farmacie, parafarmacie, tabacchi ed edicole); chiusi musei, mostre e angoli videogiochi ovunque collocati; limitati gli spostamenti da e verso regioni con scenari a rischio alto; le scuole superiori faranno lezione a distanza; i mezzi pubblici viaggeranno a metà capienza.

Il rompicapo

Conte parla a mezzogiorno alla Camera e alle cinque al Senato. Non scende troppo nel dettaglio. Innanzitutto deve dimostrare di non avere già scritto il Dpcm, a differenza di quasi tutte le altre volte. Anzi scandisce la sua «piena disponibilità ad accogliere i rilievi» delle camere, intende opposizioni.

L’altra parte del provvedimento è – mentre parla – la disperazione degli uffici legislativi. Spiega: «Prevediamo tre aree, corrispondenti ad altrettanti scenari di rischio, per ciascuno dei quali sono previste misure via via più restrittive. L’inserimento di una regione in una delle tre aree, con la conseguente, automatica applicazione delle misure previste per quella specifica fascia, avverrà con ordinanza del ministro della Salute e dipenderà esclusivamente e oggettivamente dal coefficiente di rischio raggiunto dalla regione, all’esito della combinazione dei diversi parametri quale certificato dal report ufficiale dell’Iss». Il riferimento è al documento Prevenzione e risposta a Covid-19 che ministero e le regioni hanno assunto come guida alle risposte all’aumento dei contagi.

È il meccanismo su cui il governo ha trovato l’accordo con le regioni. I lockdown regionali saranno «automatici» sulla base dei dati che confluiscono nella «cabina di regia» (ci sono rappresentanti di ministero della Salute, Iss e regioni). «Dati oggettivi», insistono al ministero, ben 21 parametri, non solo l’indice di contagio (Rt).

I presidenti videocollegati non fanno più resistenza. Per alcuni di loro la chiusura è urgente. Il presidente del Piemonte, Alberto Cirio, avanza qualche obiezione, ma a chiuderla è il pugliese Michele Emiliano: «Sconsiglio di non seguire le indicazioni del documento condiviso, lo dico anche per la mia precedente esperienza di magistrato». Allusione chiara: la prima ondata di pandemia ha lasciato uno strascico giudiziario. Anche per questo i presidenti stavolta non possono non chiudere (quasi) tutto, ma non vogliono assumersi la paternità dei provvedimenti che le piazze contestano. Gli indicatori condannerebbero Piemonte, Lombardia, Calabria, Puglia e Toscana. Il meccanismo escogitato dal ministero della Salute dovrebbe evitare conflitti e ricorsi.

L’opposizione

L’altra novità di giornata è l’apertura di un canale di comunicazione fra maggioranza e opposizioni. Conte offre alla camera e rioffre «un tavolo». Le opposizioni bollano la proposta come tardiva. «Più che per l’aumento del numero dei contagi, il premier è oggi in aula per le divisioni nella maggioranza, i sondaggi negativi, le manifestazioni di piazza», dice la capogruppo di Forza Italia Mariastella Gelmini. «Il luogo del confronto è il parlamento», è la frase di ogni replica.

Conte insiste, segue la traccia delle parole del presidente della Repubblica. «Restiamo uniti in questo drammatico momento». Ma Antonio Tajani, numero due di FI, svela: «Sabato sera ci hanno offerto una cabina di regia all’ultimo minuto. Se vogliamo lavorare insieme scriviamo insieme il bilancio». Forza Italia propone di ripartire dal Mes, ed è la posizione anche del Pd e di Italia viva. «Presidente, lei li chiami e li richiami, e se ci sono misure compatibili con le esigenze del paese le inserisca nei programma di governo», consiglia il senatore dem Luigi Zanda. Ma c’è opposizione e opposizione.

Il leghista Claudio Borghi, no-Mes, se la prende con il premier che ricorda la priorità del diritto alla salute: «Come si permette di fare una scaletta dei valori costituzionali? Se guardiamo gli articoli semmai è al 32esimo posto, il diritto al lavoro invece è al quarto». E un altro leghista, il senatore Massimiliano Romeo, si scatena nella difesa dei medici di famiglia. Peccato che prima della pandemia dal suo partito erano stato dichiarati «un mondo finito». Per fare «un tavolo» ancora ce ne vuole, ma la maggioranza approva, con voti separati, quattro punti della risoluzione del centrodestra, sulla tutela delle categorie fragili. E il centrodestra si astiene sulla mozione di maggioranza, vota no solo sui lockdown regionali automatici. Al senato il governo replica la cortesia. Il leghista Matteo Salvini attacca alzo zero. Ma il disgelo è almeno un’ipotesi. Ci ha lavorato il ministro per i rapporti con il parlamento Federico D’Incà, interpretando le indicazioni di Mattarella. Il capo dello Stato, per accompagnare il clima di «collaborazione» ieri ha parlato con i presidenti di Liguria e Emilia-Romagna Toti e Bonaccini. E oggi incontrerà i presidenti delle camere Fico e Casellati.

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