Giorgia Meloni sembra volersi intestare in modo implicito la futura ratifica del Mes.

Il discorso della premier è volutamente ambiguo: da un lato attacca l’ex premier Conte accusandolo di volerlo ratificare alla chetichella all’inizio del 2021 alla fine del suo secondo governo, dall’altro pare la premier pare voler dire a tutti che se il parlamento approverà il trattato sarà grazie ad un dibattito trasparente da lei promosso e soprattutto ciò avverrà quando lei riterrà che ci siano le condizioni per farlo.

In questo modo Meloni manda un messaggio alla Lega: attenzione a fare il gioco del Movimento 5 stelle sul Mes e a finire tra le braccia di Conte che però, quando era al governo, aveva accettato lo strumento europeo.

Al centro della scena è tornato proprio l’ex premier leader del Movimento 5 stelle, per almeno due ragioni. La prima è che Meloni sa bene che l’elettorato del Movimento, almeno per qualche punto percentuale, non è ostile alla destra.

Anzi è sensibile a temi come il fisco leggero, la sicurezza, la lotta all’immigrazione illegale ed un certo sovranismo verso l’Unione europea.

Con la sfida a Conte la premier cerca di mettersi in connessione con questi elettori veicolando il messaggio di essere lei la vera interprete dei valori in cui credono e l’unica in grado di dargli sostanza.

D’altronde oggi il Movimento 5 stelle è nell’orbita della sinistra ma fino al 2019 era un soggetto trasversale fondato sull’antipolitica. Per questa ragione l’elettorato del Movimento resta particolare rispetto al resto della sinistra, poco interessato all’antifascismo, al progressismo, all’accoglienza dei migranti e ai diritti civili esso può considerarsi di sinistra prevalentemente per posizioni a favore dell’ambientalismo, dello stato sociale, dell’intransigenza giudiziaria e politica.

Preferenze politiche che, almeno in parte, si ritrovano anche a destra. Ne è testimonianza la transumanza di elettori dal partito fondato da Beppe Grillo alla Lega e a Fratelli d’Italia tra il 2018 e il 2022.

Per questo Meloni punta Conte: mentre l’elettorato del Pd è minoritario ma fedele, quello del Movimento 5 stelle è più mobile e osmotico, come gli ultimi anni hanno dimostrato, e può esser sedotto con argomenti concreti e post-ideologici.

La seconda ragione del contrasto Meloni-Conte deriva dal fatto che i pentastellati hanno già governato con la Lega e non si può escludere che su alcune questioni, come il Mes, quella alleanza si riformi in parlamento dando fastidio al governo.

Sgonfiare sul piano elettorale Conte per Meloni ha dunque un duplice valore: guadagnare consensi e ridurre le strategie di alleati e avversari. Ma lo stesso leader del Movimento guadagna da questi attacchi nella sua partita interna al centrosinistra perché diviene l’epicentro dell’opposizione.

È Conte, e non Schlein, al centro della scena non senza qualche imbarazzo del Pd che si ritrova un alleato-concorrente spesso difficile da incasellare secondo le attuali categorie della sinistra. Ciò significa che se il Movimento 5 stelle resistesse alle prossime europee all’attacco della destra e si trovasse con consensi vicini al Pd Conte si ritroverebbe a dare le carte nel centrosinistra e con una posizione di forza.

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