Il paese ha «urgente bisogno di misure che realizzino l’eguaglianza sostanziale, ma il progetto di autonomia differenziata non sembra andare in questa direzione». Le parole della portavoce del Forum del terzo settore, Vanessa Pallucchi, si riferiscono al disegno di legge sull’Autonomia differenziata, voluto fortemente dalla Lega, approvato al Senato e approdato nell’aula di Montecitorio.

Nel testo non c’è però alcuna indicazione sulle coperture necessarie per finanziare livelli essenziali di assistenza (Lea) uniformi in tutto il paese, né la previsione di un meccanismo perequativo per evitare l’aumento delle disparità tra territori. Così c’è l’enorme rischio di minare l’unità del paese, creando un regionalismo delle disuguaglianze.

Mancata trasparenza

A pesare, oltre al mancato coinvolgimento delle parti interessate, è anche la scarsa trasparenza. «Non siamo a conoscenza del lavoro del Comitato nominato per definire i Lep. Gli atti che consentirebbero di capire in che direzione ci si sta muovendo e se siano adeguatamente contemplati gli ambiti sociali, non sono infatti stati pubblicati», spiega Pallucchi.

Ciò che oggi sappiamo per certo, è che l’Italia vive una situazione di disparità nell’accesso ai servizi e nella garanzia di diritti decisamente problematica.

Al Sud la spesa pro capite per il welfare territoriale è la metà della media nazionale: si spendono 155 euro in meno per ciascun minore, 917 euro in meno per una persona con disabilità, 49 euro in meno per l’assistenza agli anziani. La povertà sanitaria nel Mezzogiorno riguarda il doppio dei nuclei familiari rispetto al Nord-Est. Anche per quanto riguarda i servizi socio-educativi, come la mensa e la palestra nelle scuole, il quadro è estremamente frammentato. Due velocità si riscontrano inoltre nell’offerta di asili nido, con il Sud e le aree interne molto distanti dalla media nazionale.

Disuguaglianze

Se, da un lato, il disegno di legge ha acceso una certa attenzione sul tema dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), di cui l’Italia attende la definizione da oltre vent’anni, per la portavoce del Forum terzo settore «questo processo si è svolto finora con scarsa trasparenza e ci chiediamo che tipo di autonomia potrà essere quella realizzata in assenza di informazioni e di dibattito su un nodo così cruciale. Come si farà, peraltro, a garantire le medesime prestazioni in tutte le regioni con una riforma a costo zero, è un tema fondamentale».

Ciò che preoccupa di più il mondo del volontariato è che il processo di definizione dei Lep vada avanti senza che vengano in alcun modo considerati quelli sociali. Cioè quei servizi, diritti e opportunità alla base di una società più inclusiva, meno disuguale, che mette al centro il benessere individuale e collettivo.

Hanno a che fare con le misure di contrasto alla povertà, di sostegno alle persone più vulnerabili, tra cui anche le persone con disabilità. E ancora: dell’offerta di contesti di sana socialità a giovani che vivono in contesti difficili, di opportunità culturali e sportive accessibili a tutti, a prescindere dalla condizione economica.

Sviluppo sociale

Come stabilito dalla legge delega sul federalismo fiscale, c’è un rapporto diretto tra la definizione dei Lep e la determinazione di costi e fabbisogni standard da riconoscere ai comuni e agli altri enti locali. In concreto, se lo stato definisce un livello essenziale delle prestazioni, poi deve anche garantire a comuni, province, città metropolitane e regioni le risorse sufficienti per poterli erogare.

L’economista Mariella Volpe, per il Forum disuguaglianze diversità, aveva già predetto che non basta definire i Lep per garantirli: il vero problema è quello del loro finanziamento, dato che saranno bilancio e risorse disponibili a determinarli, in contrasto anche con la sentenza della Corte costituzionale che sancisce, al contrario, che deve essere «la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione». In un mondo di disuguaglianze, tale assunzione cristallizza i divari sull’istantanea dell’esistente; rinunciando dunque all’obiettivo di un paese più giusto.

Tutta la dimensione del sociale di cui si parla sta rimanendo fuori dal percorso che potrebbe finalmente attuare, a distanza di 23 anni, la riforma del titolo V della Costituzione. «In questo modo», continua Pallucchi, «il paese va incontro non solo alla cristallizzazione delle disuguaglianze sociali già esistenti, ma anche al forte rischio che si inaspriscano». Non si parla solamente di divari Nord-Sud, ma di disuguaglianze multidimensionali, che riguardano anche nuove forme di disagio diffuse ovunque e che oggi non hanno risposte codificate.

È fondamentale, quindi, che i Lep siano innanzitutto definiti, poi che si trovino le risorse per finanziarli e si realizzino le infrastrutture necessarie per renderli esigibili. Come si può fare? Investendo in uno sviluppo sociale che è sempre condizione anche di sviluppo economico. E uscendo dalla logica che vede il welfare come mera assistenza e ragionare, piuttosto, in termini di autonomia delle persone, da garantire in ogni fase della vita.

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