Un po’ per conto dell’Italia, a difesa degli «interessi della nazione» come ama dire, ma anche a nome dell’Unione europea, accompagnata dai vertici delle istituzioni europee. Nella missione in Tunisia che continua oggi con l’incontro con il presidente, Kaïs Saïed, Giorgia Meloni gioca su due tavoli per accreditarsi come la figura chiave della nuova Europa che conta di riformare, portandola a destra. Così come rivendicare un risultato per il proprio paese.

Obiettivi e ambizioni che sembrano assumere i contorni onirici di un sogno. Perché di mezzo ci sono nodi tuttora irrisolti con Bruxelles. Su tutto svetta l’acronimo Mes, che ronza a Palazzo Chigi e su cui ancora la propaganda della destra italiana non è disposta a cedere. La fiducia della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, resta circoscritta. Oggi sarà con Meloni e il premier olandese Mark Rutte a Tunisi. Al termine dell’incontro è atteso un comunicato congiunto, poi si vedrà.

Migranti conto terzi

Intanto, la premier italiana, in asse con il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha ottenuto una revisione dei meccanismi di redistribuzione dei migranti con l’introduzione della “penale” economica per chi non rispetta le quote assegnate.

Meloni per questo target si è spinta a rompere con Polonia e Ungheria, alfieri della chiusura dei confini, idea un tempo condivisa dalla leader di Fratelli d’Italia che indicava la soluzione finale del «blocco navale». Un fatto nuovo, ma anche un azzardo: la presidente del Consiglio perde i più solidi alleati in Ue, mentre le distanze con il mondo dei popolari sono intatte. Ci sono «i passi in avanti», che ha colto Meloni nei giorni scorsi, perché è stato sbloccato un negoziato fermo da anni. Ma sono passi minimi.

«La responsabilità del primo paese di approdo resta, il trattato di Dublino non si modifica. Quindi si continua a non professionalizzare il tema e a leggerlo in chiave esclusivamente emergenziale», sintetizza Toni Ricciardi, vice capogruppo del Partito democratico alla Camera. Per quanto riguarda la relazione con la Tunisia è stata scelta la strada turca, il modello sperimentato con i profughi siriani: soldi in cambio di uno stop alle partenza. La strategia del «conto terzi istituzionalizzata», la definisce ancora Ricciardi.
Il fronte della sfida si sposta sulla fattibilità del progetto: il governo considera attuabile l’intesa e i rimpatri in paesi come la Tunisia, precipitato in una profonda crisi economica (per cui c’è una trattativa con il Fondo monetario internazionale) e da mesi sull’orlo della guerra civile.

All’orizzonte si profila il remake di quanto visto sugli schermi libici: Roma aveva firmato un memorandum con un paese, la Libia appunto, che non rispettava i diritti umani a causa di un quadro politico frammentato. È lunga la galleria di reportage dell’orrore nei centri di detenzione. La strategia di Meloni è a elevato rischio bocciatura.

Trappola Mes

Un rebus su cui cade il fardello delle relazioni con l’Ue. I sorrisi di circostanza non sono sufficienti a diradare le diffidenze nei confronti del governo italiano.

Non è un mistero che Bruxelles chieda la ratifica della riforma del Mes, sottolineando in ogni modo possibile che non si tratta di un’adesione al meccanismo. Ma prima Meloni lo ha etichettato come uno «stigma», poi il vicepremier, Matteo Salvini, ha sostenuto che «non è utile» e «non è conveniente».

Parole di chiusura che non creano i presupposti per un confronto sereno con l’Europa, che ha di fronte a sé un paese che chiede molto, dalla revisione del Pnrr alla revisione della strategia per i migranti, fino alla riscrittura del Patto di stabilità, senza però voler accettare un minimo di compromesso su altri dossier. Certo, tra qualche settimana il centrodestra dovrà rendere palese il proprio orientamento sul Mes in parlamento. Alla Camera, il 30 giugno, è in calendario la proposta di legge sulla ratifica del meccanismo come chiesto dalla capogruppo del Pd a Montecitorio, Chiara Braga.

Si tratta di una comunque di una pistola scarica. «Sarebbe bizzarro se fosse approvata una proposta di legge delle opposizioni», ha commentato, pungente, il senatore della Lega, Claudio Borghi, lasciando intendere che non ci sarà spazio per il via libera. Peraltro la trappola parlamentare è aggirabile: a fine mese è prevista giusto la discussione generale. Dopodiché l’aula può disporre un rinvio di qualche settimana o anche un ritorno in commissione con un voto a maggioranza. Una strategia per dilatare ulteriormente i tempi con le fattezze di un “no” mascherato. Ma che a Bruxelles sarà considerato come un atto ostile.

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