Nella giornata di ieri è arrivata la convocazione della direzione del Pd sulla famosa “analisi del voto”, e cioè della sconfitta all’ultima tornata di amministrative. Sarà lunedì prossimo. Una convocazione che viene spiegata come ovvia, solo ritardata di qualche giorno. Ma in realtà è stata chiesta, a gran voce, alla segretaria Elly Schlein da molti esponenti della minoranza. Lo è anche Davide Baruffi, responsabile enti locali, dunque nel mirino dei suoi stessi compagni per il risultato elettorale. Il fatto è che Baruffi è anche un fedelissimo del presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, e per di più il segretario della giunta.

Molti dirigenti del Pd, di area riformista, e cioè la sua, chiedono che Schlein si faccia “aiutare”, che ascolti le diverse anime del partito. Non ascolta nessuno?

Non credo affatto che Schlein voglia essere una donna sola al comando. E sono convinto che ci sia bisogno di tutti per costruire un partito più grande e più forte, che sia il perno attorno a cui costruire un’alternativa credibile alla destra. Si è scelta una strada unitaria per la gestione del partito, siamo chiamati tutti a farla funzionare fino in fondo.

Ma queste critiche vengono persino dalla sua regione, l’Emilia-Romagna: siete stati delusi dalla nuova segretaria?

Non vedo affatto una questione Emilia-Romagna. Direi anzi tutto il contrario, vista la provenienza di Schlein e di Stefano Bonaccini da questa regione, così come la presenza di altri, come me, in segreteria.

Segnalo che il partito dell’Emilia-Romagna è da sempre uno dei più unitari, meno condizionati dalla vita delle correnti nazionali. E non vedo fronte di nessun tipo. Vedo casomai una preoccupazione rispetto alle prossime amministrative del 2024. Ed è una giusta preoccupazione.

Abbiamo bisogno di ricostruire un partito più grande in un centrosinistra nuovo, altrimenti succede quello che è successo fin qui: il Pd quasi ovunque primo partito, ma quasi ovunque senza alleati.

Emiliani unitari, lei dice: eppure venivano da questa regione i due candidati che si sono sfidati alle primarie.

Però noi dal tempo di Matteo Renzi, che era un tempo molto divisivo, fino a quello di Nicola Zingaretti, abbiamo eletto segretari regionali in modo unitario. Senza conte, rese dei conti. E quasi senza correnti, che qui sono molto più blande di quello che viene raccontato.

Le critiche vengono soprattutto dall’area riformista, la sua, ripeto. Sono tutte sbagliate?

Io faccio parte di una segreteria unitaria. È stata fatta la scelta di una gestione unitaria. Ma questo comporta un supplemento di responsabilità per tutti: certamente per chi ha vinto il congresso e ha scelto di non fare da sé, ma anche per chi ha scelto di non chiamarsi fuori. Insomma questa scelta deve essere praticata da tutti.

Intanto la Romagna è uscita dalle prime pagine dei giornali. Che succede nei luoghi alluvionati?

L’emergenza non è finita: il maltempo continua a colpire il territorio già flagellato dall’alluvione e reso quindi più vulnerabile, provocando allagamenti ed ulteriori frane. Spero che il peggio sia passato, ma il livello di guardia resta alto sia in Appennino che in pianura. Sono in corso centinaia di cantieri ripristinare i sistemi di difesa e le infrastrutture interrotte. Il problema non è avere le prime pagine dei giornali, ma risorse e risposte concrete da dare a famiglie e imprese in termini di indennizzi, e ai territori in termini di ricostruzione e messa in sicurezza del territorio.

Però il governo rallenta la nomina del commissario alla ricostruzione: perché?

Pensare di tenere separata la gestione dell’emergenza da quella della ricostruzione sarebbe un errore molto grave. Vale per i cittadini colpiti nelle abitazioni e per le imprese colpite nella propria capacità produttiva: pulire, rispristinare e ripartire è un tutt’uno per una comunità che si è rimboccata le maniche e non può aspettare.

Serve liquidità immediata e certezza degli indennizzi, dei tempi, delle modalità. Lo stesso vale per la parte pubblica: riparare un argine o una strada deve essere parte non solo di una risposta immediata, ma di una strategia coerente di potenziamento della difesa, della prevenzione, della sostenibilità.

Perché per il governo Bonaccini non è il nome naturale del commissario, come chiedono governatori anche della destra?

Spero non prevalgano logiche politiche, o peggio elettorali. Il territorio non chiede Bonaccini perché del Pd, ma in quanto presidente della regione con accanto sindaci e presidenti province, associazioni economiche e sindacati. La ricostruzione non può essere calata dall’alto o gestita da Roma, ma deve avere al centro le comunità locali, le scelte da condividere col territorio. Altrimenti non funzionerà.

Nei giorni successivi all’alluvione avete detto che il governo e Meloni aveva con l’Emilia-Romagna un atteggiamento collaborativo: è ancora così?

La visita della premier, la presenza dei ministri in queste settimane sul territorio, sono state apprezzabili. Come il decreto che ha stanziato le prime risorse. Adesso serve però uno scatto, perché i cittadini e i sindaci chiedono risposte concrete in tempi certi. Bisogna decidere immediatamente chi fa cosa: il dibattito sul commissario, visto dal territorio, è incomprensibile. Ricordo che l’Emilia-Romagna ha gestito la ricostruzione post sisma 2012 «in modo esemplare», per usare le parole del presidente Mattarella; e lo ha fatto collaborando con ben sette governi, di qualsiasi segno politico. E coinvolgendo tutti i sindaci, al di là di ogni appartenenza politica. Le ragioni di partito vanno tenute da parte in queste cose. Altrimenti la ricostruzione non si fa.

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