Questo articolo dovrà per forza contenere la parola “espatriato”. A me non piace, non perché sia brutta, ma perché mi è sempre sembrata pretenziosa, o forse perché contiene la parola “patria”. Si mette in relazione, anzi, con la parola patria, e lo fa per allontanarsene. Ma in ogni caso, nel momento in cui ti allontani da qualcosa, riconosci l’esistenza della cosa.

O forse non mi piace perché “espatriato” fa parte della mia identità in modo innegabile, e io non amo avere cose che fanno parte della mia identità, sono allergica all’identità (sono una persona difficile). Ma non ho alternative, avendo intenzione di parlare di espatriati e del ruolo di Silvio Berlusconi nelle loro esistenze. Nella mia.

La prima reazione che ho avuto alla notizia della morte di Berlusconi è stata la pietà che riserviamo alle persone scomparse, quando pensiamo alla sofferenza fisica e psicologica che ha preceduto la loro morte, e più in generale alla fine di un’esistenza, che per quanto mi riguarda è la fine di ogni cosa. Io sulla morte non scherzo mai: non la rifiuto come pensiero, non è un evento che prendo alla leggera. In nessun caso. La morte merita il nostro rispetto.

La credibilità del paese

Subito dopo questa reazione, molto naturale per me, ho cominciato a elaborare altri pensieri, del tutto separati, che riguardano una riflessione sulla figura di Berlusconi nella mia vita, e più precisamente nella mia vita di espatriata. Come molti capiscono, sanno o immaginano, Silvio Berlusconi per chi vive all’estero è stato colui che per anni ha contribuito a dare forma, più di qualsiasi altro individuo politico, alla credibilità del paese. Alla sua immagine. Dico “dare forma”, ma dovrei dire “deformare”, o usare altre parole che suggeriscono una maggiore tragicità.

Noi espatriati, specie se abbiamo avuto a che fare col mondo degli affari, ci siamo trovati a dover spiegare molte cose, per via di Silvio Berlusconi. Ci siamo trovati, nei momenti di grande intensità della sua presenza sulla scena pubblica, a dover spiegare che noi non la pensiamo come lui, questo nel caso in cui siamo stati politicamente oppositori, oppure a dover spiegare che lui è fatto così, ma che comunque è tutto ok, questo nel caso in cui siamo stati sostenitori. Perché è importante sottolineare che, all’estero, sia gli oppositori sia i sostenitori hanno dovuto sempre dare le loro belle spiegazioni. Berlusconi, con prepotenza, ha fatto parte della nostra reputazione più di qualunque altra figura politica. È stato un’appendice della nostra identità, come il debito, come lo spread. Il tuo capo ti chiede: «Letizia, cosa succede? Perché succede? Cosa vuol dire? Letizia!» Perché in qualche modo anche tu, Letizia, devi aver dato origine alla figura complessa di Silvio Berlusconi. L’Italia è il tuo paese. No?

Ma anche se, nel paese straniero, ci siamo limitati ad andare dal panettiere, prima o poi qualcuno ci ha chiesto «cosa pensi di Silvio Berlusconi?». E ieri mi è sembrato di fare un viaggio nel tempo quando una persona, a cena, mi ha chiesto «cosa pensi di lui, ora che è morto?» Ho risposto che non avevo voglia di parlarne, ma la persona ha capito che non ero stata politicamente sostenitrice dell’uomo, e ha voluto sapere come mai, perché la curiosità degli stranieri è ancora oggi fortissima, e molti in realtà hanno sempre preferito incontrare i sostenitori di Berlusconi: pensano sia più spassoso, vogliono ridere, vogliono indignarsi, vogliono capire se gli italiani “sono veramente così”, sognano una vacanza in Sardegna all’insegna della sospensione dell’incredulità. (Quando è salito al potere Boris Johnson, noi italiani abbiamo finalmente potuto chiedere agli inglesi «cosa pensi di Boris?», assumendo la faccia sconcertata che gli inglesi per lungo tempo hanno assunto chiedendoci «cosa pensi di Berlusconi?» Lo stesso vale per gli americani e Trump, e per le varie curiosità che oggi invadono il pianeta politico.)

Gli italiani sono italiani, ma gli espatriati sono italiani al cubo (il governo attuale sarà fiero di me). Volente o nolente, e per quanto ti piaccia pensare di non avere un’identità, o se è per questo una patria, la tua “personalità percepita” se vivi all’estero è fondata in buona parte sul tuo paese di provenienza. E tu sei lì, nella terra straniera, la terra non tua, che però in realtà è anche tua, perché la terra, qualsiasi terra, è di tutti. E le domande che ti vengono fatte in quanto italiano ti colpiscono, definiscono chi sei, e vorresti lasciar stare, da un lato. Dall’altro vorresti aprire la porta ai misteri del tuo paese incomprensibile, e delle sue figure molto ambigue. Oggi scomparse.

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