Fra i tanti cambiamenti imposti dalla parabola di Silvio Berlusconi al nostro paese, uno spazio se lo ritaglia senza dubbio il posizionamento internazionale dell’Italia, transitata in maniera netta, parliamo degli esordi del suo periodo governativo, nell’area atlantica. Come sempre, quando si parla di Berlusconi, si mischiano orizzonti ideologici (invero molto labili), interessi personali e postura propagandistica.

Lo spostamento verso il modello americano, però mai applicato nel nostro paese nei suoi pesi e contrappesi, voleva essere segno di discontinuità con la tradizione mediterranea italiana, dove anche si guardava ad est con la presenza del più grande partito comunista dell’occidente.

Tutto questo ha coinciso, con la certificazione di voti nei consessi internazionali, con la rottura della tradizionale politica filoaraba del nostro paese. Appoggiata sia dal Pci, che aveva scommesso sul socialismo arabo dimenticando però quello ebraico che aveva dato forma al nascente stato di Israele, sia dalla Dc, in particolare andreottiana.

Interessi privati

La svolta fu recepita dall’ebraismo italiano, che lo votò in massa fino agli anni del declino, sia dagli italkim, gli italiani in Israele, fra i quali Berlusconi resta recordman indiscusso di voti ricevuti. Singolare che molti di loro oggi si trovino a contestare i vari conflitti di interesse di Netanyahu, comunque assai minori di quelli dell’ex premier italiano.

Ma quella di Silvio Berlusconi, si sa, era una leadership onnicomprensiva, che voleva tenere insieme contraddizioni insanabili. Anche in questo caso non è che dietro ci fosse chissà quale elaborazione politico-culturale, sforzo che avrebbe fatto impallidire anche Kant tanti erano i contrari che gravitavano attorno alla galassia berlusconiana.

Più che altro, un misto di megalomania, nemmeno troppo celata, di desiderio di essere amato da tutti, e di spregiudicato cinismo al servizio dei suoi interessi privati. Così, per fare massa critica contro lo schieramento avversario, l’ex Cavaliere non si fece scrupoli a coniugare il suo «amore» per lo stato ebraico con gli ex fascisti che ostentavano croci celtiche e busti del duce, oltre alle immancabili braccia tese.

La spaccatura

Le contraddizioni crebbero ulteriormente dopo l’11 settembre. La montante islamofobia esportava in tutto il mondo logiche mediorientali dove Israele incarnava sempre più un bastione democratico-liberale contro la barbarie islamista, per usare le estreme semplificazioni della propaganda di allora.

Proprio per introiettare anche questo filone portatore di voti, le figure «nostalgiche» si moltiplicavano fra gli scranni di Forza Italia prima e Pdl dopo. E anche di Berlusconi stesso si ricordano battute sulla Milano diventata una casba che appartenevano più al vocabolario bossiano, anche lui passato rapidamente dalla battaglia di Legnano a quella di Lepanto.

Di fronte a cotanto arsenale retorico, l’ebraismo italiano si trovava sempre più spaccato, diviso fra chi lo osannava e chi vedeva in lui un duce reincarnato (anche lui esercitò, come su tutto il popolo italiano, notevole attrazione sulla componente ebraica prima del «tradimento» del ’38).

Contraddizioni

A nulla serviva sottolineare la sua vicinanza, anche personale, con i leader arabi che nutrivano i propri popoli con la propaganda antisionista e, spesso, antisemita. Come a nulla serviva evidenziare quanto un modello di leadership, che, anche esteticamente, assomigliava alle satrapie orientali, fosse in contraddizione con gli stessi presupposti culturali ebraici, alternativi alla logica faraonica.

Come tutto il paese, l’ebraismo italiano era sotto incanto e sempre più lacerato da divisioni interne. Non servì a svegliarlo nemmeno il momento del declino, dove un Berlusconi assonnato, poi si capì il perché di questi sonni diurni, si addormentò durante un discorso di Liliana Segre al Binario 21. Memorabile la chiosa di Renato Brunetta di fronte allo sdegno: «Suo papà ha cresciuto Berlusconi come un ebreo».

Sentenza che andava a sommarsi alla storia del salvataggio della ragazza ebrea durante la guerra. Ma anche in questo, Berlusconi è stato un anticipatore. Lo schema di allora è quello di oggi: da una parte un ebraismo identitario che sorvola su ogni contraddizione dei nuovi «amici» di Israele Salvini, La Russa e Meloni, dall’altro uno sostenitore degli ideali universalistici biblici che rifiuta ogni compromesso con le pulsioni populiste, nostalgiche e identitarie.

Lo schema è lo stesso, ma la recita no. Non può esistere un berlusconismo senza Berlusconi.

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