Il voto per eleggere il prossimo presidente della Repubblica si avvicina e uno dei nomi che torna con una certa frequenza quando si tratta l’argomento è quello di Silvio Berlusconi.

Per qualcuno la sua potrebbe essere la classica “candidatura di bandiera”. Per altri è poco più che uno scherzo. Per altri ancora i voti che lo separano da una possibile elezione al Colle sono così pochi che non provarci sarebbe un errore.

Nei giorni scorsi Giorgia Meloni ha parlato di «un passo indietro» dell’ex premier scatenando le ire di Forza Italia. Ma Matteo Salvini è prontamente intervenuto a mediare, ha detto che si è trattato di un «fraintendimento», e ha lasciato aperta la possibilità che Berlusconi sia effettivamente il candidato del centrodestra compatto per la successione di Sergio Mattarella. 

Lui in fondo ci crede e negli ultimi giorni, come raccontato dal Corriere della Sera, ha fatto recapitare a tutti i parlamentari un opuscolo dal titolo “Io sono Forza Italia” che contiene alcuni suoi interventi, pubblicati sul Giornale, in cui analizza i punti principali di un progetto liberale. Insomma, se si considera che nel 2001, per conquistare elettori, l’ex Cavaliere aveva inviato nelle case italiane un opuscolo dal titolo “Una storia italiana”, si può ragionevolmente dire che la sua campagna elettorale per il Quirinale è ufficialmente iniziata. 

Anche perché se davvero il centrodestra riuscisse ad arrivare a febbraio compatto sulla sua candidatura, Berlusconi potrebbe veramente puntare a essere eletto a partire dalla quarta votazione. Nelle prime tre, infatti, sono necessari 672 voti, i due terzi dei 1.009 votanti, ma dalla quarta basta la la maggioranza assoluta: 505. Attualmente il centrodestra arriva a 445. Se, come è accaduto nelle ultime settimane, Italia viva dovesse unirsi a Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Coraggio Italia portando in dote i propri 43 voti, si arriverebbe a 488: a quel punto, il Colle sarebbe a portata di mano, a una distanza di soli 17 voti.

Potere persuasivo 

Berlusconi è spesso riuscito a far convergere su di sé il consenso necessario in situazioni difficili e a farlo mancare ai suoi avversari nei momenti per loro decisivi. Nel 2008, dopo l’addio dell’Udeur di Clemente Mastella alla maggioranza di centrosinistra, l’ex Cavaliere aveva dato l’avvio alla cosiddetta «operazione libertà». Elemento centrale del piano per sfiduciare l’allora presidente del Consiglio Romano Prodi era la collaborazione dell’allora senatore Sergio De Gregorio, eletto nell’Italia dei valori di Antonio Di Pietro dopo il debutto politico nel centrodestra.

Fin dall’inizio della legislatura, secondo quanto riferito dal parlamentare, Berlusconi aveva lavorato per  convincerlo a passare con il centrodestra. Prezzo dell’operazione: sempre secondo De Gregorio, tre milioni di euro, di cui due in nero. 

Poco dopo l’inizio della legislatura De Gregorio aveva effettivamente dato seguito alle richieste di Berlusconi lasciando Idv e negando due anni dopo la fiducia al governo.

Nel 2013 il senatore ha patteggiato 20 mesi di carcere per la vicenda, mentre l’ex Cavaliere è stato condannato solo in primo grado (prescrizione in appello confermata dalla Cassazione). 

All’epoca, l’esborso di Berlusconi non andò a intaccare in maniera importante il patrimonio dell’ex presidente del Consiglio: il denaro, consegnato, sempre secondo il racconto di De Gregorio, dal direttore dell’Avanti! Valter Lavitola in «pacchi da 500 euro avvolti in carta da giornale perché occupavano meno volume», rispetto al suo patrimonio dell’epoca, che si aggirava intorno agli 11 miliardi di dollari, rappresenta appena lo 0,03 per cento. 

Facendo qualche conto, se davvero le affermazioni di De Gregorio fossero autentiche, per gestire la situazione attuale, con quasi venti voti mancanti, Berlusconi dovrebbe sborsare oltre 50 milioni di euro. Rispetto al suo patrimonio attuale, stimato da Bloomberg in 9,15 miliardi di dollari, appena lo 0,6 per cento. 

Offerte su misura

Certo, si tratta di conti ipotetici, che prendono spunto da una cifra calcolata secondo le dichiarazioni di De Gregorio. Nel 2010, un altro parlamentare dell’Idv, diventato poi il simbolo dei voltagabbana, raccontava in un’intervista a Repubblica come nel corso della legislatura era stato avvicinato da mediatori intenzionati a fargli cambiare casacca in cambio dell’estinzione del mutuo, della rielezione o di un posto nel governo.

Quel parlamentare era Antonio Razzi: oggi ribadisce che in realtà di tutto quel che diceva di aver ricevuto come offerta non ha mai ottenuto nulla, ma che del suo voto contro la sfiducia a Berlusconi nel 2010 «non mi pento, lo rifarei cento volte».

Alla fine, infatti, Razzi non ha avuto nessuna contropartita. Il suo premio è stato il fatto di continuare a percepire lo stipendio non mandando a fondo la legislatura: «Io vengo dal mondo del lavoro, avrei dovuto votare per non lavorare più: visto che là dentro ciascuno pensa ai fatti suoi, l’ho fatto anch’io», dice.

Oggi prende il vitalizio, «1.600, 1.700 euro al mese, poca roba», spiega, ma difende la sua scelta perché «chi me lo faceva fare di stare con chi non mi voleva? Io sono andato da chi mi voleva bene e Berlusconi nei miei confronti è sempre stato un gran signore». 

Razzi dà voce al timore di tanti parlamentari che oggi come allora si trovano privi di garanzie per il futuro, in attesa della pensione che scatta di diritto dopo quattro anni, sei mesi e un giorno di legislatura. Per quella attuale, se ne parla a settembre 2022. Fino ad allora, rassicurazioni materiali e non potrebbero fare la differenza nella decisione sul presidente della Repubblica. Nel caso in cui il voto portasse all’elezione di Mario Draghi e non ci fosse un accordo per chi deve succedergli a palazzo Chigi, la situazione sarebbe quella che Razzi descrive come «voto per mandarsi a casa da soli». Difficile che chi non è certo del proprio futuro possa finire per fare questo passo. 

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