Giovedì sera, alla riunione del Consiglio federale della Lega, il fondatore Umberto Bossi non c’era. Non è neanche stato invitato: eppure, in quanto presidente federale è di diritto membro del gruppo che si è riunito in Sala Salvadori. Una decisione che il senatore ha naturalmente notato, ma sulla quale non vuole esprimersi. «Un brutto gesto, anche se lui che è un signore non vuole entrare nel merito per non seminare zizzania», spiega chi lo conosce. Anche perché lo scontro tra Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti era su temi dirimento: «Ma Bossi vuole restare lontano da questo teatrino».

Sono parole dure per uno scontro che vede i due leader del partito accapigliarsi per decidere che direzione imprimere alla Lega del futuro, con ricadute importanti sulla tenuta del governo Draghi.

Discussioni nel merito

La riunione ha visto un gioco delle parti in cui il segretario ha provato a cementare la propria leadership pretendendo «lealtà, silenzio e compattezza» per 50 minuti di intervento, ma si è parlato anche di merito, come la collocazione nel panorama politico italiano ed europeo, con la riaffermazione della linea sovranista. Dal primo round dello scontro è uscito sconfitto Giorgetti, che da mesi si muove per traghettare la Lega verso un Ppe definito da Salvini «mai così debole» e «subalterno alla sinistra». La stampa riferisce che Giorgetti ha chiesto scusa e si è rimesso alle decisioni del leader: «Un bel consiglio federale. Una bella discussione, il confronto è sempre positivo. Salvini ha ascoltato tutti, anch’io ho espresso le mie idee. La Lega è una, è la casa di tutti noi e Salvini ne è il segretario. Saprà fare sintesi, porterà avanti la linea», ha detto Giorgetti al termine del consiglio federale.

Sono in tanti gli ex maggiorenti che hanno detto la loro sulla direzione che dovrebbe prendere oggi la Lega: da Roberto Maroni, che in un’intervista a Repubblica ha esortato Salvini a raccogliere l’eredità di Silvio Berlusconi lasciando la destra a Giorgia Meloni, a Roberto Castelli, che ha detto alla Stampa che non vede problemi nell’affermazione della linea del leader.

Il presidente federale saputo del contenuto degli scambi soltanto da racconti e agenzie di stampa. Anche la base non è stata felice della decisione di non invitarlo a Roma, e nelle chat interne dei militanti del nord i messaggi che circolano non sono moderati: «Vergogna», «Non ci rappresentano più», «Senza Bossi finisce tutto», sono i più eleganti. Il leader, lo sfidante e gli altri maggiorenti del partito hanno condiviso la decisione di non invitare Bossi. Una scelta che li ha allontanati ulteriormente da una base che non aveva nemmeno gradito l’ingresso del partito nel governo Draghi. Restano vagamente legati agli obiettivi originari della Lega del fondatore i presidenti delle regioni, con le loro ambizioni di autonomia da Roma.

Chi è vicino all’ex leader resta poco convinto del merito della discussione: «Al congresso si è parlato tanto di una lunga serie di cavilli dello statuto del partito: ecco, se lo statuto gli stesse davvero a cuore, avrebbero consultato chi per primo aveva creato il partito». Ora l’attesa è tutta per l’assemblea di partito prevista per dicembre, di fatto il secondo incontro tra le due correnti che si sfidano all’interno della Lega. «Voglio vedere se lì non lo invitano», dice chi conosce bene il fondatore del partito.

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