Voce da dentro Forza Italia, autorevolissima (per capirci, fra quelli che erano seduti nelle prime file al funerale di stato per Silvio Berlusconi): «No, Urbano Cairo ora non farà nulla, in politica intendo. Non è il momento giusto. Per ora Forza Italia continuerà ad andare avanti con la forza inerziale di Tajani, meglio se con un riequilibrio dopo gli sgarbi gratuiti degli ultimi tempi, magari restituendo un ruolo al giovane Cattaneo (Alessandro, declassato il 29 marzo da capogruppo alla Camera a vicecoordinatore del partito, ndr). Giorgia Meloni ha bisogno che Forza Italia resti Forza Italia fino alle europee, per fare le sue operazioni con i popolari. Dopo invece ingloberà quelli che vuole lei, scegliendoci petalo per petalo. Dunque dopo le europee, sì, quello potrebbe essere il momento di Cairo».

Cairo: «Voci surreali»

«Guardi», risponde lui cortesissimo, «in questi giorni ho dato due interviste, cosa che in genere non faccio, per affetto e riconoscenza verso Berlusconi, con il quale ho lavorato da ragazzo e che mi ha dato una bellissima chance di lavorare con lui, che era già un imprenditore importante e che mi ha insegnato molto».

Da qui le voci del suo interesse per Mediaset e/o per la politica: «Con Berlusconi, dopo il tempo in cui mi avevano “accompagnato” alla porta, ho recuperato un bel rapporto. Ci eravamo sentiti prima di Capodanno, ci siamo visti i primi di gennaio, poi ci siamo rivisti ancora. Il resto sono ipotesi surreali, da quelle su Mediaset, un’azienda che è in mano alla famiglia, a quelle sulla politica, fantasiose». Forse che in Forza Italia qualcuno ci spera? «Ma no, hanno un coordinatore che è persona di grande esperienza e di capacità, Antonio Tajani. non hanno bisogno di me, che non ho alcuna esperienza politica. Senta, la gente parla. E fa dietrologia».

L’erede riluttante

In realtà le tentazioni politiche di Urbano Cairo sono una suggestione da tempo. La politica è un suo amore «sin da quando ero ragazzino». L’editore di Rcs-La7, nato collaboratore di Berlusconi in Publitalia e dal 1995 manager in proprio dopo un dissenso sulle strategie di Mondadori Pubblicità, fece balenare l’intenzione di lanciarsi già nell’estate del 2019.

«Non sono e non sarò mai l’erede del Cavaliere», disse al Foglio, «nella vita non si prende il posto di qualcun altro. Gli innovatori inventano il nuovo, non riciclano il vecchio».

In quel periodo il nome di Cairo viene testato, a sua insaputa, da diversi istituti di sondaggi, sia su base Milano – la destra cercava un nome da contrapporre a Giuseppe Sala – sia sul piano nazionale. «Lo testammo anche noi, ottenemmo un risultato interessante», ricorda Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia Research, «ma era prima della pandemia, ora siamo in un altro mondo».

Non se ne fece niente. Ora Giorgia Meloni è a palazzo Chigi e la destra ha la sua leader. Ma il centro, ora che non c’è più il suo amico Berlusconi? Chi lo conosce dice che Cairo non sarebbe mai “sceso in campo” pestando i piedi al suo «grande maestro». Verso il quale, anche da concorrente, ha sempre avuto un occhio di riguardo.

Per esempio: Domani ha attribuito la chiusura del programma Non è l’Arena, su La7, al fatto che il conduttore Massimo Giletti si stava interessando ai rapporti tra Berlusconi, Marcello Dell’Utri e la mafia. Cairo ha smentito con decisione. Con la stessa decisione con cui l’ufficio stampa di Mediaset e di La7 hanno già smentito le notizie di un interessamento da parte di Cairo all’acquisto di Media for europe, ex Mediaset. Resta che Cairo è l’erede perfetto di Berlusconi.

Le sue recenti interviste hanno incuriosito. Non solo: mercoledì pomeriggio al Duomo di Milano i cronisti hanno intercettato un colloquio appartato fra lui e Licia Ronzulli, spumeggiante presidente dei senatori forzisti; che non ha ottimi rapporti con Marta Fascina. Di cosa hanno parlato? «Ma di nulla in particolare», assicura Ronzulli a Domani, «del presidente, delle volte che si erano visti. Di certo non abbiamo parlato di politica».

Ci crediamo, non era giorno “urbano” per discorsi del genere. E poi c’è chi fa notare che le aziende di Cairo vanno bene, e invece Berlusconi si è messo a fare politica perché le sue stavando fallendo. Vero anche questo.

Eppure oggi più del 2019 al “centro” potrebbe esserci spazio per un imprenditore pieno di spirito di «intrapresa», come diceva il defunto, un nuovo cavaliere del lavoro, la cui carriera ricalca passo passo quella di Berlusconi. Tranne che, appunto, per il salto. Salto che potrebbe essere coperto a destra dal Corriere della sera, schieratissimo con il governo Meloni; e a sinistra da La7, la tv di Lilli Gruber e Corrado Formigli.

Lui, i primi di giugno al Festival della tv di Dogliani, intervistato da Francesca Fagnani, conduttrice di Belve su Rai 2, non ha aperto ma neanche chiuso alla possibilità: «Nella vita mai dire mai, ma la vedo molto difficile: abbiamo 4.500 dipendenti e 4.500 collaboratori, 9mila famiglie dipendono da noi. Dovrei lasciare tutto. Quando hai tante persone che lavorano per te, che fai, le lasci?». Ma no. Poi però il discorso è andato avanti come meglio non potrebbe per chi stesse cercando un elettorato di centro senza più casa, fino al sempre promettente «non mi definisco né di destra né di sinistra, sono categorie superate».

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