«Chi vota Lega o Forza Italia non è fascista a prescindere. Bisogna parlare anche a loro». E almeno con i berlusconiani lui, Carlo Calenda, ci parla. E parecchio: a latere della campagna per il No al referendum - venerdì sera era sul palco della chiusura a Milano - in queste settimane ha condotto una serie di audizioni.

Il weekend elettorale sarà un giro di boa per Azione, la creatura politica dell’europarlamentare fuoriuscito dal Pd per dissenso sull’alleanza con M5s. Sulle regionali Calenda non punta molto: è schierato con il centrosinistra in Toscana, e contro in Puglia, per il resto è rimasto agnostico. Per il mai decollato partitino di Matteo Renzi l’esito delle urne sarà un verdetto senza appello, tanto che come exit strategy l’ex premier punterebbe alla carica di segretario generale della Nato. Azione, ugualmente inchiodata nei consensi, crede invece di avere un’ultima chance per raggiungere quel 5 per cento fin qui rimasto irraggiungibile. Una soglia al di sotto della quale, insegnano i sondaggisti, nelle rilevazioni non si è neanche percepiti.

A Montecitorio c’è chi racconta che l’ex ministro lavora a un gruppo parlamentare nel quale andrebbe a confluire l’area dei liberalforzisti di Mara Carfagna, sempre più insofferente della prigionia con la destra nazionalista e sempre più preoccupata dell’indecisione di Silvio Berlusconi e del conseguente disfacimento del partito. Azione smentisce tutto. E il principio di realtà aiuta la smentita. Alla Camera servono venti parlamentari per formare un nuovo gruppo e per ora Azione ne ha appena due: l’ex Cinque stelle Nunzio Angiola e l’ex berlusconiano Enrico Costa. In effetti però Costa, figlio del Raffaele che fu l’ultimo segretario del partito liberale, ha lasciato molti amici nell’ex gruppo e lavora instancabilmente per portarli nella nuova casetta. Anche se le serve «un pedigree impeccabile», per l’ex ministro, e due condizioni. La prima è che resistano alla tentazione di traslocare in seguito nella maggioranza giallorossa e che votino sì solo a pochi provvedimenti scelti. La seconda è che abbiano il profilo giusto per una nuova forza liberaldemocratica, in pratica che non abbiano un passato ingombrante, motivo per cui al Senato sarebbero già state respinte le domande di ingresso di Gaetano Quagliariello e Paolo Romani. E così a palazzo Madama l’ex dem Matteo Richetti resta tuttora l’unico “azionista” (in senso calendiano). Quanto a Carfagna, Calenda le ha fatto ponti d’oro. Le voci di un suo abbandono della casa azzurra circolano da tempo. Ma chi ci lavora insieme assicura servono solo a rafforzarla in FI.

Calenda si segnala attivissimo anche sul fronte del futuro Campidoglio: escluso un suo impegno personale, ad agosto ha proposto Carlo Fuortes, sovrintendente dell’Opera di Roma. Silenzio dal Pd, ipotesi sfumata. Ora promette un nuovo nome. Non sarebbe l’ex sindacalista cislino Marco Bentivogli il cui nome pure è circolato. E a cui si sono rivolti anche due big Pd.

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