Si vota a maggio ma il dibattito è ad andamento lento. I dem vogliono un candidato “politico”. Il Movimento però teme di versare altro sangue alle casse della coalizione di centrosinistra
Fretta non ce n’è, in teoria: le elezioni a Genova non sono convocate, la finestra del voto è fra il 15 aprile e il 15 giugno, verosimilmente il rinnovo del consiglio comunale cadrà a maggio. E maggio è lontano. Ma il centrosinistra ligure ha già preso una scoppola alle regionali a causa del suo andamento lento: ha perso una sfida in cui partiva avanti e dall’altra parte c’era un ex presidente ai domiciliari (poi condannato). E l’ha persa per essersi a sua volta perso per mesi in litigi e veti fra alleati, anche se il candidato, l’ex ministro Andrea Orlando, di fatto era in campo da mesi. Oggi, per Genova, di nomi se ne fanno, forse troppi: in pole c’è Alessandro Terrile, ad dell’Ente Bacini; poi Federico Romeo, presidente del municipio di Valpolcedera e neoconsigliere regionale, cattolico area Bonaccini; e il collega Simone D’Angelo, vicino alla segretaria Schlein.
Per non parlare del capogruppo Pd in Regione Sanna e dell’ex ministra Roberta Pinotti. Marco Bucci, il presidente della Regione, sfotte gli avversari: «Si diano una regolata e scelgano, se c’è abbondanza di quelli che non vanno non va bene, ci vuole abbondanza di quelli che vanno».
La destra ha scelto Pietro Piciocchi, assessore al bilancio, già vice di Bucci e ora reggente della città al suo posto. Piciocchi ci crede da sempre: in ogni uscita pubblica si presenta con la fascia tricolore. Giovedì scorso, in una riunione al vertice, la destra ha dato l’indicazione. C’erano i big: Bucci, il viceministro leghista Rixi, Rosso per Fdi, Bagnasco per Forza Italia. Ma l’ufficialità non c’è: bisogna aspettare che Giorgia Meloni e Matteo Salvini si parlino. «Il centrodestra genovese è eterodiretto da Roma», ironizza Davide Natale, consigliere regionale e segretario ligure del Pd, «Sono commissariati. Da oggi Picciocchi è il “non candidato” sindaco».
«Bucci si crede Napoleone»
Tanta fretta non c’è, dicevamo. Ma il centrosinistra sa già che il tempo può anche complicare i casi semplici. E questo, sulla carta, lo è un caso semplice: alle regionali in città Orlando ha preso il 52,3 per cento, oltre 120mila voti, contro il 44,3 di Bucci, poco più di 100mila. Otto punti di distanza, 18.602 voti, un baratro. Ma un baratro che si può colmare, com’è successo al giro precedente, perché il candidato non c’è, la marcia non è ingranata, l’alleanza è possibile, persino probabile: ma non scontata. E a Roma la sconfitta ligure è bruciata parecchio dal lato M5s, rovinosamente scivolato al 4,6 mentre il Pd volava al 28,5.
«Il centrosinistra ha iniziato il suo percorso e sta facendo valutazioni tutte locali per capire qual è la candidatura migliore per rilanciare Genova», spiega ancora Natale, «e scardinare un sistema che già alle regionali ha dimostrato di avere il fiato corto. Tutto ciò testimoniato dai pezzi che la maggioranza a Palazzo Tursi sta perdendo per strada e dal malcontento che serpeggia in città. Bucci come direttore d’orchestra ha già steccato: si crede Napoleone, ma alla fine deve aspettare un mese per decidere chi è il candidato».
E però dal lato progressista il tavolo ancora non si è riunito. Il Pd lo ha convocato entro metà gennaio, dunque entro mercoledì. Il partito, che in città veleggia al 28,7 per cento, considera “naturale” che gli spetti l’indicazione del nome: il M5s si è fermato al 5,1, dietro la lista civica di Orlando e dietro Avs. Stando ai numeri, la discussione non dovrebbe andare lontano.
Dopo la sconfitta alle regionali, i Cinque stelle sono stati tentati di correre in proprio, almeno al primo turno, per fermare l’emorragia di voti. L’ipotesi è sfumata, ma non del tutto. Circola un ragionamento, nessuno lo fa in chiaro, che suona così: il prossimo voto sarebbe il quarto in cui il Movimento dona sangue alla coalizione progressista, pagandone il prezzo: la prima volta alle regionali 2020, con Ferruccio Sanza (ex giornalista del Fatto, che non era del Pd ma neanche del Movimento, a ottobre si è candidato con Avs, non rieletto); poi alle comunali di Genova con Ariel Dello Strologo; infine alle ultime regionali con Orlando, ex ministro e dirigente nazionale Pd. La domanda che fanno i grillini, ora contiani, è: toccherà sempre a loro, cioè al Pd? Il discorso si allarga, da Genova arriva a quali saranno, in futuro, i rapporti fra Elly Schlein e Giuseppe Conte. E quindi arriva l’altra domanda: «Vogliono fare i federatori, o gli egemoni? C’è una bella differenza». «Gli altri», cioè la destra, continua il ragionamento, «sono più furbi: FdI ha preso più voti ma ha scelto un civico», Bucci. Il discorso fila fino a un certo punto: in regione il rapporto fra FdI e i due alleati, Lega e Fi, è di uno a due. A sinistra uno a cinque. Il M5s un nome ce l’avrebbe, anche se copertissimo: Tiziana Beghin, per dieci anni capodelegazione al parlamento europeo, imprenditrice, e donna disciplinata: esaurito il secondo mandato, è rimasta nel movimento ma è tornata al suo lavoro.
Civici ed egemoni
Quanto ai «civici», qualche nome circola ma non smuove i precordi: la prorettrice dell’università Adriana del Borghi, il professore di economia Maurizio Conti. Una «lista civica» stanno cercando di fare i centristi di Iv e Azione, che hanno lasciato la maggioranza di Bucci e ora si annusano. Ma al massimo possono sperare che stavolta M5s non metta veti. Il Pd invece “tira” per un candidato politico.
Con le buone, senza egemonie, come predica Orlando, che alla fine ha scelto di lasciare Montecitorio e guidare l’opposizione in regione. Formalmente non sta a lui la regia della partita ma ha spiegato a Repubblica Genova che presto, entro gennaio «dobbiamo darci regole certe e condivise con un patto tra forze politiche e civiche. Per poi a febbraio trovare il nome». Quanto al profilo del candidato, «ormai tra civici e politici i confini sono sfumati, i partiti sono slabbrati, la gente va e viene dalla politica. Basti pensare che Bucci è il braccio armato della Lega e si propone come civico». Dunque «occorre scegliere persone che hanno un valore a prescindere dalla loro appartenenza ai partiti, guardare alle loro biografie, a quali mondi sono in grado di parlare, a quanti cittadini sono in grado di mobilitare a partire dall’area del non voto, non alle etichette». Soprattutto, occorre scegliere.
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