«La disperazione fra i pazienti è stata altissima. La politica sembra sempre dire: “Vi ascoltiamo, ma poi non cambiamo nulla”». A portare la voce delle migliaia di persone che avrebbero bisogno della cannabis terapeutica è Marta Lispi, presidente del Cannabis Service, un’associazione che offre informazioni e mette in contatto le persone con i dottori e le farmacie su tutto il territorio nazionale, una delle numerose realtà che cerca di aiutare i pazienti in Italia. 

Il 16 febbraio poteva essere una giornata storica: con l’ammissione del referendum sulla cannabis e una sua eventuale vittoria, si sarebbe potuto aggirare in parte il problema della mancanza di una terapia a base di cannabis.

Motivo per cui i pazienti oggi sono costretti ad arrangiarsi a spese proprie e molti, non volendo finanziare il narcotraffico, si coltivano le piantine in casa. «La maggior parte dei nostri tesserati è coinvolta in processi penali. L’assoluzione ormai è scontata, ma questo non è vivere sereni. Lo slogan dice “autoproduzione unica soluzione”, ma non è così, anche con l’autoproduzione i pazienti non possono sopperire alle mancanze di medicinali», dice Lispi.

Molti di questi sono seguiti da Meglio Legale, che si è occupata, tra gli altri, di Walter De Benedetti e di Cristian Filippo, 24enne calabrese affetto da fibromialgia e senza terapia, che ha vissuto due mesi ai domiciliari per aver coltivato una pianta nel box doccia.

Le speranze di migliaia di pazienti si sono spente con le parole del presidente della Corte costituzionale, Giuliano Amato, che ha dichiarato l'inammissibilità del quesito. Dunque non si voterà.

Eppure mentre la società civile sembra pronta, lo dicono le firme raccolte in pochi giorni, la politica resta ancora a guardare. Ma ora è l’unica che può realmente cambiare le cose: lo auspica la Consulta, che ha invitato l’avvio di un percorso parlamentare. Con lei anche i servizi e chi si occupa di droghe.

Le conclusioni della Conferenza nazionale sulle droghe dello scorso novembre sono state chiare: guardare alle leggi e ai progetti di legge già pronti e sostenere quelli.

In quell’occasione il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho aveva esplicitamente citato il ddl a prima firma di Riccardo Magi e la Cassazione, con le decine di pronunce sul tema, spinge per una revisione del Testo unico sulle droghe vecchio ormai di trent’anni. 

Una storia mai nata

La storia della politica con la cannabis in realtà non è mai iniziata. Negli anni si sono accumulati ventiquattro testi di legge, depositati e mai discussi. Il silenzio è stata la risposta anche alle iniziative popolari.

La politica è riuscita, anzi, ad andare in senso opposto, se si pensa agli esiti del referendum del 1993, che aveva abrogato le norme che prevedevano sanzioni penali per i consumatori, e alla nascita della Fini-Giovanardi, una legge repressiva, poi ritenuta anticostituzionale, che ha sovraffollato le carceri e portato l’Italia a una condanna da parte della Cedu, la Corte europea per i diritti umani.

E se anche il presidente della Repubblica auspica un risveglio del parlamento, la realtà, almeno per quanto riguarda la cannabis, è molto più amara.

I disegni di legge che hanno attirato maggiore attenzione sono due, i più recenti sono quelli a firma Perantoni e Magi. Entrambi bloccati in commissione Giustizia della Camera, rischiano di rimanerci un bel po’ e finire nel dimenticatoio quando l’attenzione su questo tema inizierà a scemare.

«Vogliamo ripartire con l’iter: sono stati presentati gli emendamenti da Lega e Fratelli d’Italia, sono circa duecento, non un numero altissimo», dice Riccardo Magi, deputato di +Europa, primo firmatario di un testo presentato a fine 2019, pochi giorni prima della sentenza della Cassazione dove si esplicitava che la coltivazione domestica di minime dimensioni non ha rilevanza penale.

«Noi vorremmo la totale depenalizzazione perché ad oggi molti hanno la vita rovinata per pochi grammi», aggiunge Magi, che ha presentato una proposta anche per modificare la lieve entità: «In sette casi su dieci per fatti di lieve entità si finisce in carcere comunque, è quindi una fattispecie che non cambia la realtà carceraria italiana». 

Pene per lo spaccio

Sulla base del testo Magi, il deputato Mario Perantoni del Movimento 5 stelle ha presentato un ddl, precisando nel numero di quattro piantine la coltivazione domestica, ma aumentando le pene: reclusione da sei a dieci anni per i reati connessi a traffico, spaccio e detenzione ai fini di spaccio della cannabis.

«Al momento i tempi sono stretti, stiamo lavorando a varie riforme che come la cannabis necessitano grande tempo, per questo motivo il percorso del ddl ha subito un rallentamento, ma vista la bocciatura della Consulta riprenderemo quanto prima», dice Perantoni.

Il deputato è convinto dell’efficacia della sua proposta che, insieme alla depenalizzazione per uso personale, completerebbe il quadro: «Attualmente è come andare un giro con una bottiglia di vino, impedendo la coltivazione della vite. Se posso detenere cannabis è logico che mi rivolgerò al mercato nero e questo vogliamo impedirlo».

Il testo base è stato votato a settembre 2021 con i voti del M5s e del Pd, mentre hanno detto no FdI, Lega e FI (con il voto in dissenso di Elio Vito), astenuta invece Italia viva.

Ed è proprio su queste fragili alleanze che si gioca il futuro della cannabis in Italia, vista la composizione parlamentare che non permette una forte maggioranza a nessun gruppo. Dando per assunto il voto favorevole di M5s e Pd – pur con le solite ritrosie – servono Italia viva e gran parte del gruppo misto.

Pd immobile

«È evidente che la strada è quella del parlamento ormai, ma è un tema ancora tabù per la maggior parte delle forze politiche, anche le cosiddette forze progressiste balbettano su questi temi», dice Magi. 

Il pensiero corre al Partito democratico che in questi mesi di discussione sul referendum sulla cannabis non si è posizionato in alcun modo. Gli elettori democratici – la cui base è largamente favorevole alle istanze che il referendum portava – da tempo chiedono al segretario Enrico Letta un appoggio, ma la poca simpatia del leader del Pd per queste tematiche è nota.

Il suo predecessore Nicola Zingaretti aveva apertamente dichiarato: «Non sono mai stato a favore della legalizzazione della cannabis». E se Letta non si muove, ed è difficile credere lo faccia ora proprio che la discussione si è fermata, l’interno del partito non è certo in fermento: «Il Pd non ha mai una posizione e nel migliore dei casi era contraria», dice la deputata del Pd Giuditta Pini.

«Non c’è mai stato un dibattito, un confronto su questi argomenti, e anche il tavolo che si è creato nelle ultime settimane temo si fermi con lo stop al referendum». Eppure il democratici potrebbero trovare terreno comune nella lotta alla mafia e alla criminalità, ma finora nessun accenno. 

© Riproduzione riservata