Più tenta di avanzare, più la riforma del premierato sembra impantanarsi in un groviglio di errori, modifiche e contro modifiche. Con una forte tentazione da parte della maggioranza: completare sommariamente il lavoro in commissione Affari costituzionali per arrivare il prima possibile in aula con un testo non chiuso, da emendare in quella sede.

Ieri in commissione Affari costituzionali al Senato si è conclusa l’illustrazione generale degli emendamenti con una maratona di interventi da parte delle opposizioni, oggi si procede con il vaglio di ammissibilità dei 1800 emendamenti delle opposizioni, a cui si aggiungono altri 800 subemendamenti ai quattro emendamenti del governo.

La prossima settimana invece si procederà con i pareri del governo sugli emendamenti e infine ci sarà la calendarizzazione del voto. Il testo, però, è ancora ben lontano dall’essere chiuso: il ddl Casellati ha già subito due ritocchi e ora se ne attende un terzo, visto che rimane ancora il buco nero risolvibile solo in via interpretativa nel caso di dimissioni necessarie del premier per mancanza di voto di fiducia.

Una falla macroscopica, evidenziata dai costituzionalisti anche di centrodestra, ma soprattutto dal componente della commissione in quota Fratelli d’Italia, Marcello Pera, che sin qui non ha lesinato – in solitaria – critiche alla via meloniana al premierato.

«Il nostro obiettivo è scongiurare una riforma irrazionale e dannosa e al contempo creare le condizioni per un confronto costruttivo che provi ad affrontare le principali fragilità della nostra democrazia», è la linea del costituzionalista e componente dem della commissione, Andrea Giorgis, che ha guidato gli interventi del suo gruppo. «Non voglio neanche immaginare che la maggioranza, pensando di conquistare qualche voto in più alle europee, porti il testo in aula senza concludere i lavori in commissione, mortificandoli. Sarebbe una scelta gravissima che dimostrerebbe tutta la protervia di chi vive con fastidio ogni limite al proprio potere».

Lo scontro

La sensazione, però, è che Fratelli d’Italia intenda tirare dritto, anche in vista della campagna elettorale alle europee e nonostante all’interno del centrodestra le divisioni permangano, soprattutto in casa Lega. Non a caso, a creare l’ennesimo cortocircuito sul voto di fiducia sarebbe stato l’intervento del ministro Roberto Calderoli, che è lo specialista delle riforme per via Bellerio.

Sua sarebbe stata l’ultima parola sulla mediazione che ha di fatto aperto la strada al fatto che, se il testo rimanesse come è ora, in caso di dimissioni obbligatorie del primo premier ne subentrerebbe un secondo della stessa maggioranza. L’intenzione leghista, infatti, sembra quella di restituire a FdI lo stesso trattamento – tutt’altro che accomodante – ricevuto sull’autonomia.

Per farlo, in commissione potrà contare anche sulla sponda di Pera, che ormai è diventato la voce più critica in commissione dopo le opposizioni. Dal fronte dem, invece, la volontà è quella di portare avanti l’ostruzionismo, mettendo in luce tutte le incongruenze del testo e senza smettere di chiedere una soluzione condivisa visto che si tratta di una modifica strutturale della Carta: «Il nostro problema è con l’elezione diretta in quanto tale, che stravolge ogni assetto istituzionale e limita i poteri del Quirinale», è la sintesi del responsabile Giustizia dem, Andrea Martella.

La mediazione

Una mano tesa per uscire dal contrasto ideologico sul testo costituzionale sarebbe stata tesa: le associazioni LibertàEguale, fondazione Magna Carta e Io Cambio hanno infatti lanciato una iniziativa per una modifica costituzionale bipartisan, ma «fatta bene», che dia all’Italia un «assetto politico e partitico europeo», legato a una lette elettorale maggioritaria.

I promotori, tra cui gli ex parlamentari dem Stefano Ceccanti e Andrea Morando e l’ex senatore di Forza Italia Gaetano Quagliariello hanno sottolineato le grandi criticità del testo attualmente in discussione, ma anche che anche nel programma dell’Ulivo e nella Bicamerale D’Alema si ipotizzava una legittimazione diretta del premier. La soluzione più logica, però, sarebbe quella dell’indicazione del nome del premier sulla scheda elettorale, piuttosto che quello dell’elezione diretta contenuta nell’attuale riscrittura della Carta.

Un salto non da poco, ma che avrebbe l’ambizione di mettere d’accordo le voci di costituzionalisti e politici di entrambi gli schieramenti, nel tentativo di persuadere il governo dall’evitare una riforma a colpi di maggioranza non qualificata e quindi ragionevolmente oggetto di un rischioso referendum. La mobilitazione si concluderà con una maratona oratoria il 27 febbraio, ma le speranze di moral suasion in questo momento sembrano scarse.

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