Inizia oggi il procedimento disciplinare a carico del magistrato Luca Palamara e dei cinque ex componenti del Consiglio superiore della magistratura. Così, si alza il sipario sulla resa dei conti interno alla magistratura, dopo lo scandalo che ha investito il Csm nell’estate 2019. Ribattezzato “Caos procure”, sotto accusa c’è il sistema delle nomine al Csm pilotate con metodo spartitorio tra correnti, al cui vertice sarebbe stato l’allora leader di Unicost, Palamara. Il caso è scoppiato dopo la pubblicazione delle intercettazioni sulla riunione notturna del 9 maggio 2019 all’hotel Champagne di Roma in cui Palamara, i deputati Luca Lotti e Cosimo Ferri e tre togati del Csm discutevano del nome da sponsorizzare per la successione a capo della procura di Roma, dopo il pensionamento di Giuseppe Pignatone.  Su questo incontro poggia l’accusa contro Palamara: “Aver violato i doveri di correttezza ed equilibrio”, aver messo in atto una “strategia di danneggiamento” nei confronti di colleghi e “interferito nell’esercizio degli organi costituzionali”.

Davanti alla sezione disciplinare si scaricano molteplici tensioni. La difesa di Palamara punta a spostare il fuoco dell’accusa dal suo assistito all’intero sistema delle correnti, di cui Palamara sarebbe solo un ingranaggio e rispetto al quale non sarebbero estranei nemmeno i magistrati chiamati a giudicarlo. Per sostenerlo, ha presentato una lista di 133 testimoni, su cui si attende il giudizio di ammissibilità. La commissione disciplinare, invece, vuole circoscrivere i fatti alla trattativa per la procura di Roma, per evitare che il procedimento diventi un contro-processo spettacolo a carico di tutta la magistratura associata. Infine, in bilico è anche la posizione di Piercamillo Davigo: l’ex pubblico ministero di Mani pulite è membro della sezione disciplinare. Il suo nome è stato inserito nella lista testi perchè figura nell’inchiesta penale davanti al tribunale di Perugia e il difensore di Palamara ne ha chiesto la ricusazione: «Riveste, nello stesso processo, la posizione di teste su taluni dei fatti oggetto di incolpazione, nonché di giudice degli stessi». A fine luglio, il Csm ha rigettato la richiesta, dunque Davigo rimarrà nel collegio giudicante. Tuttavia, la questione non è chiusa: il 20 ottobre Davigo compirà 70 anni e dovrà andare in pensione. Con l’addio alla toga dovrà lasciare anche il Csm? Una parte della magistratura, in particolare i progressisti di Magistratura democratica, ritiene di sì. Il diretto interessato, invece, sostiene di poter portare a termine il mandato, perchè il requisito di essere in attività varrebbe solo al momento dell’elezione. La questione sarà risolta dalla commissione titoli del Csm, ma rischia di avere riflessi significativi: se condannato da lui, Palamara avrebbe strada facile nell’invocare la nullità della sentenza per “illegittima costituzione del giudice”.

© Riproduzione riservata