Il dibattito sulla giustizia e in particolare sulla riforma dell’ordinamento giudiziario corre su due binari paralleli. Uno è quello del parlamento, dove è incardinato un disegno di legge: il termine per l’approvazione è fissato dal Pnrr a fine 2021, la commissione tecnica ha depositato la sua proposta di modifica e gli emendamenti dei partiti sono stati presentati in commissione Giustizia alla Camera. L’altro è quello del referendum promosso dal partito radicale insieme alla Lega: i quesiti sono pronti e il primo fine settimana di luglio inizierà la raccolta firme, con l’obiettivo di programmare il voto a febbraio 2022.

Nel mezzo c’è la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, che deve riuscire a far sì che il percorso referendario non intralci quello già imbastito in parlamento e necessario per ottenere i fondi del Recovery. Per questo, ieri ha indetto un vertice con i capigruppo della maggioranza in commissione. Formalmente, l’obiettivo è stato quello di illustrare i contenuti della relazione degli esperti, sul piano politico invece il senso è stato quello di ribadire un dato essenziale: la riforma dell’ordinamento è «molto attesa», anche a causa del dibattito pubblico e della crisi della magistratura, e questo rende «improcrastinabili e più urgenti» gli interventi.

Le proposte dei tecnici

Il punto di partenza del lavoro è stato chiarito così da Cartabia: «Garantire che la magistratura operi sempre, nei fatti e nella percezione dell'opinione pubblica, su solide basi di indipendenza». Per questo, la relazione degli esperti presieduta dal costituzionalista Massimo Luciani ha licenziato una proposta che tocca tutti i punti salienti. Innanzitutto la riforma della legge elettorale del Consiglio superiore della magistratura per frenare il cosiddetto “correntismo”: i tecnici non hanno previsto il sorteggio, ma l’ipotesi sarebbe quella di permettere la candidatura anche al di fuori delle liste, raccogliendo un numero minore di firme. Questo sarà uno dei temi più controversi: una parte della magistratura associata e anche il Movimento 5 Stelle considerano il sorteggio la soluzione per azzerare il correntismo al Csm, una parte più consistente delle toghe e anche i vertici dell’Associazione nazionale magistrati, invece, ha sempre definito il sorteggio una soluzione svilente per la categoria che non garantisce rappresentanza. Altra ipotesi: elezioni parziali ogni due anni dei membri togati; criteri più rigorosi nella formazione delle commissioni interne all’organo, in particolare rafforzando il regime delle incompatibilità per i membri della sezione disciplinare; stop alle nomine a pacchetto negli uffici giudiziari.

Il testo della commissione dei tecnici contiene anche criteri più selettivi rispetto agli attuali indicatori attitudinali da utilizzare per le nomine al vertice degli uffici giudiziari da parte del Csm, con l’obiettivo di di rendere meno discrezionali le nomine. Proprio questa previsione, prevista anche nel ddl base, non è stata condivisa dal Csm, che nel suo parere aveva sollevato dubbi sul fatto che irrigidire in via legislativa i criteri, che ad oggi sono adottati con strumenti interni al Csm, possa col tempo limitare l’autonomia dell’organo. Quanto alle valutazioni dei magistrati, la commissione Luciani avrebbe previsto il diritto di tribuna e di parola ma non quello di voto per gli avvocati nei consigli giudiziari. Anche su questo punto l’Anm si è già espressa con un documento fortemente contrario.

Infine sulle “porte girevoli” tra magistratura e politica, l’ipotesi sarebbe quella di permettere al magistrato di riprendere servizio dopo l’esperienza politica, ma con limiti territoriali e funzionali più stringenti. Quanto alla separazione delle carriere, questa non è prevista dalla proposta della commissione. Tuttavia, si limitano i passaggi da funzione di giudici a pubblici ministeri a due volte durante la carriera.

Prima di cominciare il lavoro di sintesi per redigere il maxi emendamento del governo al testo base, tuttavia la ministra ha anticipato di volere un nuovo incontro con la maggioranza, con l’obiettivo di ricompattarla.

L’appoggio del Pd

In contemporanea al lavoro parlamentare, tuttavia, prosegue il dibattito politico. Il referendum promosso da partito radicale e Lega ha messo in difficoltà il Partito democratico. Alcune delle sue componenti interne, infatti, sarebbero tentate dall’appoggio e alcuni singoli hanno già anticipato di essere favorevoli.

Il segretario Enrico Letta, invece, è intervenuto con uno stop deciso e un altrettanto forte appoggio al percorso di Cartabia: «Il referendum è lo strumento sbagliato: serve per fare lotta politica e i tempi sono molto lunghi. Il Pd preferisce Cartabia e Draghi». Tradotto: la strada maestra per le riforme e per sostenere l’esecutivo è quello di portare avanti i progetti in parlamento. Tuttavia il dibattito interno non è assolutamente risolto e nei prossimi giorni si accenderà anche quello dentro la magistratura. E a entrambi via Arenula dovrà prestare orecchio e attenzione.

© Riproduzione riservata