Una nuova strada, “Controvento”, come dice il nome del suo manifesto, per Davide Casaleggio. Il presidente dell’associazione Rousseau guarda al futuro, e di fronte al rischio di un ridimensionamento drastico del suo ruolo nelle vicende del Movimento 5 stelle sembra rivolgersi altrove. Durante la presentazione su Zoom, Casaleggio e Enrica Sabatini, suo braccio destro, toccano il delicatissimo voto sul governo Draghi, una ferita ancora aperta per tanti attivisti del Movimento, lamentando la mancanza di dibattito e il problema dei quesiti. Si parla anche del limite dei due mandati, un ulteriore punto problematico per il Movimento del 2021. Manca però una conclusione concreta: «È solo un manifesto di metodo», dice Casaleggio.

L’evento di ieri appare come il punto alla fine della lunga parabola del figlio di Gianroberto Casaleggio che, dopo aver lavorato al suo fianco per molti anni, ha ereditato la gestione di Rousseau, lo strumento che in una stagione lontana del Movimento 5 stelle era diventato sinonimo di democrazia diretta.

A lui è passato il testimone del progetto del padre, che dopo aver fondato il Movimento con Beppe Grillo è entrato nell’immaginario degli attivisti come guru: sono sue le teorie su come rinnovare il panorama mediatico e politico che hanno indirizzato i primi passi degli eletti Cinque stelle. Era suo il video Gaia in cui nel 2008 ipotizzava l’elezione di un supergoverno planetario regolato dalla democrazia diretta dopo una nuova guerra mondiale. Un fardello pesante da portare sulle spalle, quello del paladino della democrazia diretta, ma Davide si è immolato per portare avanti quella che identifica come la volontà del padre.

Dopo la sua scomparsa nel 2016, Casaleggio si è inserito perfettamente nella posizione che Gianroberto aveva lavorato per creargli: i rapporti sono ottimi con quasi tutti i volti più noti del Movimento, oltre che ovviamnete con il gruppo milanese, uno su tutti l’ex viceministro Stefano Buffagni, ma soprattutto (grazie anche alla mediazione di Pietro Dettori) con il leader più in vista, Luigi Di Maio. È su di lui che Casaleggio ha puntato tutto nel 2017, quando è avvenuta la metamorfosi dal vecchio Movimento, quello fondato nel 2009 da Grillo e Casaleggio senior, alla nuova Associazione Rousseau, i cui soci fondatori sono proprio Di Maio e Casaleggio junior. Secondo l’avvocato degli espulsi che negli anni hanno presentato ricorso contro il Movimento, Lorenzo Borrè, la grossa differenza, anche in fatto di concezione della democrazia diretta, è proprio nel passaggio tra quei due documenti: il secondo ratifica la superiorità del volere del capo politico rispetto alle scelte degli attivisti. Con il benestare di Casaleggio.

Il patto, cucito su misura dei due protagonisti, è sembrata la mossa perfetta per assicurare al presidente di Rousseau una centralità inattaccabile, considerato che il garante dal lato politico sembrava essere destinato a restare in carica per un tempo piuttosto lungo. I due si sono spartiti di fatto i rapporti con l’esterno, che restano in mano al gruppo romano capeggiato da Di Maio, e la giurisdizione interna, appaltata a Casaleggio. Le cose non sono andate così: quando Di Maio a inizio 2020 ha lasciato l’incarico di capo politico ha tolto l’ultima garanzia a un rapporto con il Movimento già molto logorato.

Gli screzi con i parlamentari

I problemi sono cominciati poco dopo il trionfo alle elezioni del 2018. A giugno di quell’anno Rousseau ha dato il via il City Lab, un tour che gira tutto il paese «con l’obiettivo di diffondere la cultura dell’innovazione, della democrazia diretta e della cittadinanza digitale». Ma l’obiettivo era anche di raccogliere iscrizioni a Rousseau. I parlamentari del Movimento partecipano volentieri, salvo poi vedersi relegati in seconda fila, il logo a Cinque stelle praticamente scompare e iniziano a nascere i primi malumori, che crescono quando nella seconda parte dell’anno e dopo le elezioni europee i parlamentari si trovano a incassare sempre più delusioni. Non aiutano le comparsate effimere di Casaleggio a Roma: nei gruppi parlamentari c’è chi non ha mai incontrato nemmeno una volta il beneficiario dei versamenti mensili obbligatori per statuto. Nel 2019 i parlamentari hanno dovuto anche mandare giù un altro boccone amarissimo: l’alleanza col Pd. La diffidenza reciproca sulla direttrice Roma-Milano continua a crescere e quando Di Maio a gennaio dell’anno scorso ha fatto un passo di lato è diventato evidente che i rapporti tra Movimento e Rousseau dovevano essere ridefiniti. La pandemia ha bloccato anche questo processo, ma se da un lato numerosi deputati e senatori hanno scelto di non versare più i 300 euro mensili per «il mantenimento delle piattaforme tencologiche che supportano l’attività dei gruppi e dei singoli parlamentari», come recita cripticamente la ricevuta della piattaforma, dall’altra Rousseau si è difesa mettendo alla gogna sull’interfaccia delle rendicontazioni anche chi fra i parlamentari era in regola con le restituzioni previste dai regolamenti del M5s ma non con i versamenti all’associazione. Un gioco di screzi vicendevoli che i Cinque stelle sperano di chiudere il prima possibile: sul tavolo c’è senz’altro il versamento degli oltre 400mila euro che i parlamentari dovrebbero a Casaleggio, ma non è detto che i soldi siano risolutivi, né che gli eletti siano pronti a versarli. Resta infatti da vedere che ruolo proporrà (ammesso che accada, considerata l’opposizione totale dei gruppi parlamentari) a Rousseau il neocapo del Movimento Giuseppe Conte e quanto Casaleggio, dal canto suo, sia disposto ad accettare una riduzione del suo potere. La provocazione di Sabatini, fedelissima del presidente di Rousseau, che ha offerto i servizi della piattaforma anche ad altri partiti, sembra suggerire che le strade di Rousseau e del Movimento non debbano per forza continuare insieme. Quel che continua a non essere chiaro è la destinazione dei fondi raccolti in questi anni, come ribadito dal presidente della Commissione affari europei Sergio Battelli «circa 3,5 milioni di euro». Nessuno dei Cinque stelle sa o vuol ammettere di sapere che fine abbiano fatto.

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