Le vicende pugliesi di questi giorni possono essere lette con una qualche profondità storica. In Puglia la sinistra ha avuto la fortuna di dilagare anche sulla base di quello che era stato il primo grande centrosinistra creativo degli anni Sessanta, cioè il grande centrosinistra della modernizzazione che in campo nazionale era segnato dalla particolare attenzione che avevano per le capacità di sviluppo della regione sia Aldo Moro che Pietro Nenni.

Ma questa occasione favorevole, quella di fare della regione un grande laboratorio del rinnovamento dei partiti, negli ultimi decenni, dalla fine della Prima Repubblica, è andata a finire nelle mani di Michele Emiliano. Emiliano era ed è rimasto il capofila di una classe dirigente annullata dall’illusione che un ex magistrato, anzi un magistrato non in servizio, potesse garantire il ceto politico residuale e quello nascente dalle incursioni della dilagante attività nazionale della magistratura nella vita politica.

Contemporaneamente Emiliano era ed è rimasto la rappresentazione di una strana sintesi che si collocava fra destra e sinistra. Lui è uomo di destra che utilizzava gli argomenti prevalenti in quel momento nella sinistra, che poi erano gli argomenti della magistratura purificatrice. Come si vede in questi giorni, ma non c’era bisogno di aspettare queste vicende, non abbiamo avuto né una purificazione né una revisione della politica.

Con lui in Puglia si è accomodato un nuovo centralismo, un centralismo dispotico, che è tutelatore di un’antica tradizione mercantile pugliese, quella di cercare di risolvere i problemi attraverso il patteggiamento di convenienza. E insieme è il motore e protettore di un trasformismo politico capace di proteggere nuove classi dirigenti, a cui ha consentito di essere classi di potere istituzionale senza grandi compromissioni di scelte politiche. Carenza di scelte politiche, dunque, ma intensità di utilizzo del potere.

Ora questo sistema sta entrando in crisi perché confligge con gli interessi diffusi nel paese: mentre le classi dirigenti locali hanno bisogno di stabilità, la società è tirannica. E c’è un conflitto in atto fra le prospettive di nuove generazioni di potere e la tendenza all’autotutela delle vecchie classi dirigenti ormai in condizioni di evanescenza.

Il sistema di Emiliano segna una crisi. E non si tratta tanto dei singoli casi di malgoverno individuale, che possono essere influenzati dalla decadenza del sistema. La crisi è data dal fatto che in questi ultimi trent’anni in Puglia si è concretizzato il grande esperimento di chiamare il trasformismo con il nome di rinnovamento della società. Emiliano è questo. E anche nell’espressione più gentile e più bonaria del sindaco di Bari Antonio Decaro si può intravvedere la stessa natura politica.

Su questo asse Michele Laforgia ha tentato un’operazione di grande azzardo, quella di creare la discontinuità. Ma la discontinuità aveva bisogno di individuare nell’asse Emiliano-Decaro il punto di rottura sul quale bisognava insistere dal primo momento per provocare un cambiamento. Oggi forse è tardi. Anche perché purtroppo oggi c’è il rischio che la decadenza del sistema, voluto e alimentato anche dalla destra, possa diventare la via di uscita per l’intera società. E una svolta a destra in Puglia la farebbe ricadere indietro al periodo che precede quello della grande stagione del centrosinistra degli anni Sessanta. Negli anni Cinquanta infatti vi fu un tentativo di spostamento a destra delle amministrazioni locali della regione. Ebbe vita breve, perché il sistema nazionale dei grandi partiti seppe resistere all’urto. Ma quella stabilità democratica è stato cancellata. Sia a destra, che a sinistra.

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