«Ammetto di essere stato stato lo “sponsor” di Luca Palamara. Gli ho pagato molte cene e pranzi, pagavo io anche quando non ero al ristorante con lui. Ho saldato anche il conto dei soggiorni a Ibiza e all’hotel Fonteverde a San Casciano. Il mio interesse? Non era legato a influenzare le nomine degli uffici giudiziari, ma alla mia attività di lobbista». Fabrizio Centofanti ha deciso di parlare. L’imprenditore di Artena, indagato per corruzione dai pm di Perugia insieme all’ex magistrato, ha ammesso per la prima volta le utilità date all’amico, imprimendo una svolta decisiva all’indagine coordinata da Raffaele Cantone.

A Domani risulta infatti che la scorsa settimana Centofanti abbia confessato agli inquirenti le sue responsabilità, e consegnato anche dettagli inediti sul suo rapporto con Palamara e altri giudici di primo piano. Confermando, di fatto, più di una delle tesi accusatorie. L’imprenditore non solo ha ammesso il do ut des, ma ha pure deciso di cambiare la sua strategia difensiva: l’ammissione sembra prodromica alla richiesta di patteggiamento.

Vedremo se la procura umbra accoglierà la proposta. Nel caso, sarà il gip a deciderne l’esito. Dovesse andare in porto l’accordo, per Palamara la situazione potrebbe precipitare, dal momento che si troverebbe solo in un processo difficile, con l’incubo di avere un coindagato che ha confessato di fatto la corruzione per funzione. Fattispecie grave che ancora oggi lui smentisce con vigore.

Non è tutto: nel colloquio con i magistrati perugini Centofanti parla anche del presunto “complotto” contro Giuseppe Pignatone e Paolo Ielo (ex procuratore capo di Roma e aggiunto) organizzato, secondo l’accusa, dallo stesso Palamara e dal pm Stefano Fava: non è un caso che il verbale sia stato depositato nel processo contro i due (sempre a Perugia) di cui è prevista oggi un’udienza delicata. Nell’interrogatorio il lobbista racconta anche di cene con i vertici istituzionali e del Csm: tra queste, ce ne sarebbe una nel 2016 con l’attuale presidente del Senato, Elisabetta Casellati. Il conto l’avrebbe pagato sempre Centofanti.

Cene e viaggi

Il cielo per Palamara volge dunque al grigio plumbeo. La scelta di Centofanti di chiudere con il passato e ammettere (almeno in parte) comportamenti penalmente rilevanti rischia di mettere all’angolo l’ex pm, già espulso dalla magistratura a causa delle intercettazioni registrate dalla Guardia di finanza all’hotel Champagne.

L’imprenditore ha infatti spiegato ai pm di Perugia che Palamara è sì un suo caro amico, e che gran parte dei viaggi fatti insieme sono stati pagati da entrambi. Ma ha pure aggiunto che negli anni – quando Palamara era un importante capocorrente – gli avrebbe offerto «pranzi e cene» perfino quando il lobbista non era seduto al tavolo: in pratica Palamara gli lasciava il conto in sospeso in ristoranti di lusso, che lui saldava in seguito.

L’imprenditore ha anche detto di aver offerto all’ex magistrato anche un weekend a Ibiza.

Non solo a lui, ma anche a Renato Panvino, un dirigente della polizia molto vicino a Palamara. Ma perché tanta generosità? Centofanti nega di avere, attraverso queste utilità, mai interferito nelle nomine nei tribunali e nelle procure italiane, come sembrano evidenziare anche alcuni passaggi dell’inchiesta di Potenza che giorni fa ha portato agli arresti di Amara e del poliziotto Filippo Paradiso.

Essere «sponsor» del potente magistrato, ha confessato però Centofanti, gli consentiva grandi vantaggi sia per l’attività di lobbying sia per i lavori della Cosmec, società con cui l’imprenditore organizzava convegni ed eventi soprattutto nel mondo delle toghe. L’ex capo delle relazioni istituzionali di Acqua Marcia fa un esempio, e racconta di una cena in un hotel romano, avvenuta a inizio 2016 e, a suo dire, organizzata proprio da Palamara. Un rendez-vous durante il quale si sarebbe discusso della possibile nomina di Francesco Monastero a presidente del Tribunale di Roma: la cena fu «pagata da me», e vi parteciparono molti magistrati di magistratura indipendente. Alla tavolata, dice Centofanti, era seduta anche l’attuale presidente del Senato Casellati, anche lei già citata più volte nelle carte dell’inchiesta potentina. Incontri come questi, ammette Centofanti, gli avrebbero consentito di aumentare molto la sua reputazione agli occhi di potenti e possibili clienti, e di trarne così benefici importanti.

Contro Ielo

L’imprenditore ha anche voluto precisare alcune dichiarazioni del suo ex socio in affari Piero Amara, che qualche mese fa aveva affermato a verbale (con conseguente trasformazione del capo d’accusa contro Palamara da corruzione semplice e corruzione in atti giudiziari) come l’ex boss di Unicost avrebbe informato Centofanti dell’andamento di un’altra inchiesta congiunta delle procure di Roma e Messina, che poi nel 2018 il lobbista e l’ex legale dell’Eni in carcere per reati fiscali e corruttivi. Notizie riservate che Palamara avrebbe ottenuto giocando a tennis con il pm di Roma Stefano Fava, che deteneva il fascicolo romano insieme al procuratore Ielo.

Centofanti riferisce ora che l’amico non gli avrebbe mai dato notizie coperte da segreto istruttorio come perquisizioni o possibili misure cautelari, ma solo discusso con lui dell’«inquadramento generale dell’inchiesta». Aggiungendo però come Palamara gli dicesse che Fava non ce l’aveva con lui, ma che di fatto Centofanti rappresentava in primis una strada per provare a colpire Pignatone, inviso a Fava da tempo.

Quest’ultimo, è noto, è indagato in un altro fascicolo perugino per accesso abusivo al sistema informatico, abuso d’ufficio e violazione del segreto d’ufficio (in quest’ultimo caso in concorso con Palamara), per aver rivelato – secondo l’accusa – a due giornali il contenuto di un esposto segreto che aveva mandato al Csm contro Pignatone e Ielo. Centofanti racconta ora che tra l’aprile e il maggio del 2019 ebbe un incontro con Palamara, a casa dell’imprenditore Alessandro Casali (anche lui sentito dalla procura). Un appuntamento durante il quale Palamara gli avrebbe chiesto di cercare informazioni sul fratello di Ielo e sulle sue consulenze in Eni. Un dossier che sarebbe poi servito a Fava per la sua guerra contro il collega.

L’episodio – fosse vero e provato – rischia di peggiorare il quadro indiziario drasticamente. Vedremo se le affermazioni del lobbista reggeranno alla prova dei processi. Un fatto è certo: l’inchiesta perugina ha preso una nuova direttrice, e per gli imputati eccellenti, Palamara in testa, tutto si fa molto più complicato.

 

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