Il centrodestra scommette forte sulle amministrative. Ma rischia anche di incrinare un patto che dopo l’ingresso nel governo Draghi di Forza Italia e Lega è già messo a dura prova.

Complice l’indecisione sulla data del voto, più volte rimandata a causa della pandemia, la trattativa non si sblocca.

A essere maggiormente in difficoltà è il partito di Giorgia Meloni: Fratelli d’Italia sta crescendo nei sondaggi, e anche nella ripartizione interna delle corse cittadine avrebbe caselle importanti da riempire, ma rischia di trovarsi senza persone all’altezza delle competizioni.

Roma

Una rosa è una rosa. E le destre a Roma una rosa, di candidati si intende, ce l’hanno: ne fanno parte Andrea Abodi, manager e presidente dell’Istituto per il credito sportivo, Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa, e l’eterno Guido Bertolaso, ex capo della Protezione civile, pluriconsulente alle più disparate emergenze, oggi della campagna vaccinale della Lombardia.

Ma, dice una fonte nei meccanismi della capitale, Abodi «non ha un sufficiente coefficiente di notorietà», e così Rocca. Mentre Bertolaso, che invece è un volto noto, «sarebbe un ottimo sindaco ma non un ottimo candidato»: ha il vizio delle dichiarazioni smisurate, farebbe una gaffe al giorno. Nella rosa c’è anche Massimo Martelli, oncologo di fama, ex primario dell’ospedale Carlo Forlanini, «aperto dal fascismo e chiuso dalle sinistre», secondo il destrissimo quotidiano Il Secolo d’Italia.

Ma per la scelta siamo ancora ai preliminari. Il paradosso è che le destre della capitale (Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega, i tre principali partiti) nei sondaggi viaggiano intorno al trenta per cento anche senza un nome. Una cifra che è già una prenotazione per il ballottaggio. Nello scacchiere nazionale dell’alleanza l’indicazione del candidato spetta a Fratelli d’Italia. Ma i leader della coalizione non si parlano.

Matteo Salvini e Giorgia Meloni non riescono a mettersi intorno allo stesso tavolo da tempo. L’entrata della Lega nel governo Draghi ha peggiorato le cose. E la lite feroce sulla presidenza del Copasir (la Lega non la molla, FdI la pretende per le opposizioni, come dice la legge, cioè per sé) ha fatto precipitare la situazione.

Fin qui in realtà il rallentamento della decisione sul nome per il Campidoglio veniva giustificato con l’attesa del nome del Pd. C’è il timore che alla fine si faccia avanti Nicola Zingaretti, e il terrore che le elezioni del Campidoglio vengano accorpate a quelle della regione Lazio, dove le destre sono favorite, ma il presidente uscente avrebbe la possibilità di trainare la coalizione (Pd più Cinque stelle, appena propiziata dall’ingresso in giunta regionale di due assessore pentastellate).

Zingaretti fin qui si è negato, la destra resta confusa. Con un retropensiero: un nome forte in panchina, quello di Fabio Rampelli, il fratello d’Italia più alto in grado nella capitale, politico di razza della destra storica, ex azzurro di nuoto e grande combattente.

Ma Rampelli – che nega l’intenzione di correre, ed è sincero – è anche un autorevole vicepresidente della Camera. Per il partito di Giorgia Meloni, unico all’opposizione, sarebbe una follia farlo dimettere dal secondo scranno di Montecitorio.

Milano 

A Milano il centrodestra non ha ancora un candidato sindaco e i due aspiranti più blasonati sono in difficoltà a causa delle tensioni interne alla coalizione.

L’ex sindaco per due mandati Gabriele Albertini è ritenuto da molti il candidato naturale e secondo un sondaggio di febbraio di Eumetra potrebbe persino competere alla pari con il sindaco uscente, Beppe Sala. Albertini, però, ha elegantemente declinato l’offerta di fronte a una coalizione non proprio entusiasta. Simili difficoltà le ha avute anche Maurizio Lupi, ex ministro ed ex assessore all’urbanistica della città proprio sotto Albertini.

Nessuno dei due è completamente escluso dai giochi, ma gli esponenti della Lega hanno più volte detto non volere candidati politici.

La coalizione è costretta così a pensare a figure meno note per riconquistare la “capitale morale” che non governa ormai da dieci anni e che, nel frattempo, sembra diventata un simbolo di tutto ciò che l’attuale centrodestra italiano non è.

Il piano è quello di candidare un “moderato” e cercare di ricalcare, con maggior successo, la campagna elettorale di Stefano Parisi, che nonostante la poca notorietà nel 2016 era arrivato a un passo dal battere Sala.

All’epoca, il centrodestra era più competitivo nelle periferie spaventate che nel centro storico. Conquistare i giovani professionisti milanesi socialmente ed ecologicamente sensibili che abitano nei quartieri alla moda sembra impossibile.

Ma la vecchia borghesia della Ztl è vista dal centrodestra come un potenziale terreno di espansione. Da qui la scelta di puntare su un manager moderato (il che, come accaduto con Parisi, permette anche ai partiti di lavarsi le mani di un eventuale sconfitta).

Restano quindi diversi nomi, tutti di persone poco conosciute al grande pubblico.

Matteo Salvini ha espresso diverse volte apprezzamento per Roberto Rasia dal Polo, ex giornalista e manager in una società di comunicazione del gruppo Pellegrini, che si occupa principalmente di ristorazione aziendale.

Un profilo simile, salvo le lodi esplicite di Salvini, è quello di Simone Crolla, consigliere della camera di commercio americana in Italia e per breve tempo deputato del Popolo della Libertà.

Napoli

«Catello siamo con te». È l’appello che nei prossimi giorni verrà lanciato da imprenditori, professionisti, bei nomi della borghesia napoletana, ma anche da esponenti del centrodestra leghista e berlusconiano.

Perché il Catello in questione di cognome fa Maresca e di mestiere fa il magistrato. E che magistrato. Sempre impegnato nella lotta alla camorra, con appuntata sul petto la medaglia della cattura di Michele Zagaria, pezzo da novanta del clan dei casalesi.

Da mesi il dottor Maresca, sostituto presso la procura generale di Napoli, fa riunioni, incontri, sonda le forze politiche (con esclusiva e particolare predilezione per la Lega e Forza Italia), ascolta la città. Pone condizioni. I partiti vanno bene, ma senza simboli.

La Lega è d’accordo – Salvini è stato il primo a saltare sul carro del pm – Forza Italia entusiasta. A masticare amaro, per il momento, sono quelli di Fratelli d’Italia.

«No a fughe in avanti – hanno ammonito i fratelli partenopei di Meloni – non bastano le liste civiche, serve identità». Quella racchiusa nel nome di Sergio Rastrelli, figlio di Antonio, che fu presidente della Campania prima di Antonio Bassolino.

Chiacchiere e mal di pancia a parte, a sostegno di Maresca sono già pronte (oltre a manifesti e 6x3) cinque liste civiche. “Essere Napoli” è quella messa in piedi dall’imprenditore Giuliano Annigliato. Nessun richiamo classico alle parole d’ordine della destra per attirare personalità e fette della borghesia prima vicine al centrosinistra. E anche per tenere la porta di Maresca aperta. A chi? A Vincenzo De Luca e alle sue liste.

Il presidente della giunta regionale non accetterà mai un accordo Pd-Cinque stelle, e meno che mai la candidatura di Roberto Fico. Maresca aspetta, forse scioglierà la riserva a metà aprile. Solo allora si metterà in aspettativa da magistrato. «Una anomalia insopportabile. Il pm indaga la mattina, ma nel pomeriggio fa incontri politici. Il Csm che fa?». L’attacco viene da Luigi de Magistris, ex magistrato, sindaco uscente di Napoli.

Torino

A Torino il centrodestra si è raccolto intorno a Paolo Damilano. L’imprenditore del Barolo e dell’acqua Valmora (gruppo Pontevecchio) viene da un lungo impegno nel settore della ristorazione torinese con il pastificio Defilippis e il Bar Zucca.

Damilano ha svolto un ruolo anche nella vita culturale del capoluogo sabaudo, con la presidenza del Museo nazionale del cinema e della Piemonte film commission.

Insomma, un nome noto ma esterno al mondo politico, proprio di quelli che cerca la Lega, tanto che l’imprenditore era entrato nella rosa dei favoriti anche durante la corsa per la regione del 2019, vinta poi da Alberto Cirio.

Il presidente in area forzista non perde occasione per ricordare la sua amicizia col nuovo candidato sindaco dato in netto vantaggio da tutti i sondaggi.

Damilano è riconosciuto come indipendente in quota Lega: una condizione intermedia che gli ha permesso da un lato di approfittare della spinta leghista su tutto il territorio nazionale e di ricevere anche il consenso di una figura chiave del partito e del governo Draghi come Giancarlo Giorgetti. La sua indipendenza lo protegge contemporaneamente dai contraccolpi negativi legati al più recente calo nei sondaggi di Salvini.

In più, la posizione esterna al partito permette a Damilano di accreditarsi anche presso la borghesia torinese del centro città, tradizionalmente vicina al centrosinistra.

A fare la differenza saranno i voti dei quartieri fuori dalla Ztl, gli stessi che nel 2016 hanno portato all’elezione di Chiara Appendino. Barriera di Milano, Mirafiori, Vallette e Lucento ora guardano alla Lega, la conferma arriva già dai risultati delle ultime elezioni europee.

Se tutto va come per ora le rilevazioni indicano, la prospettiva più probabile è quella di un asse regione-comune che il centrodestra non aveva mai avuto per le mani: Forza Italia avrebbe in mano la regione (e forse anche l’ufficio del vicesindaco, se si concretizzasse l’ipotesi del ticket con Claudia Porchietto, deputata), la Lega il comune.

Resterebbe fuori dalla ripartizione del potere Fratelli d’Italia.

Si può dire con certezza che i vertici del partito siano tutt’altro che contenti di questa costellazione, tanto da far pressione su Cirio per fargli cambiare area d’influenza e indurlo a sparigliare.

A quel punto si riprodurrebbero anche in regione i rapporti di forza interni al centrodestra che in questo periodo fotografano i sondaggi nazionali.

Bologna

Imprenditore, cattolico, 64enne, civico e fondatore della Consulta delle associazioni familiari, uomo di destra ma senza tessere di partito, a gennaio Fabio Battistini si era lanciato ufficialmente come candidato per le prossime elezioni amministrative a Bologna.

Accolto senza entusiasmo dalla Lega bolognese, però, negli ultimi tempi le sue apparizioni sono andate via via diminuendo. Fino a scomparire, forse definitivamente.

Complice il rinvio del voto, ma soprattutto il fatto che nella destra del capoluogo emiliano-romagnolo sarà il partito di Salvini a dare il via libera al nome che sfiderà il candidato della sinistra. Ma il candidato della sinistra non c’è.

Da questa parte in pole position, ormai da quasi un anno, c’è il giovane e sempre più forte Matteo Lepore.

Ma la sua candidatura non è affatto scontata. Come le primarie. In campo c’è anche l’assessore alla sicurezza del comune, Alberto Aitini, in forza alla corrente Base riformista. L’accordo interno non arriva, nonostante le rassicurazioni dell’ex ministro Francesco Boccia, oggi responsabile degli enti locali del “nuovo Pd” di Enrico Letta.

E la destra dunque sta a guardare. Aspettando di conoscere il candidato avversario, per decidere di conseguenza il profilo del proprio.

Se toccasse a Lepore, candidato di sinistra vicino alle associazioni – e al sindaco uscente Virginio Merola – la Lega imporrebbe un candidato più radicale.

Anche se ormai è chiaro che Salvini ha imparato la lezione delle ultime regionali, quelle della sconfitta di Lucia Borgonzoni.

Non funziona, in città, il “modello citofono”, e non funziona battere sui tasti della (presunta) invasione degli immigrati. Il leader leghista cerca un civico meno connotato.

Nelle scorse settimane era filtrato un suo interesse per Isabella Seragnoli, imprenditrice e filantropa, ma poco incline ai clamori di una campagna elettorale che sarà certamente molto combattuta.

Cercasi disperatamente un nuovo Guazzaloca. E così spunta il nome dell’ex ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti, in forza all’Udc, una delle anime dell’associazione Bologna civica.

Il quotidiano Il Resto del Carlino lo spinge come candidato dal profilo moderato ma capace di fare convergere tutta la destra.

Fratelli d’Italia dice «ci stiamo lavorando». Anche la Lega ci pensa. Galletti deve fare i conti con il fatto che Pier Ferdinando Casini, storico pezzo da novanta di quell’area, ormai è stabilmente accasato in area Pd. Ma i suoi elettori forse no.

Trieste 

Nel capoluogo del Friuli-Venezia Giulia il centrodestra ha già trovato l’accordo su Roberto Dipiazza: il self-made man friulano passato dall’essere garzone alla proprietà di un gruppo di supermercati ha all’attivo già quattro mandati da sindaco, uno a Muggia e gli altri tre proprio a Trieste, dove ha governato dal 2001 al 2011 e poi, dopo una breve pausa da consigliere regionale, di nuovo dal 2016 a oggi.

Si muove nell’area di Forza Italia, ma è risaputo che Dipiazza è un battitore libero. Grande appassionato dell’attenzione dei riflettori, resta storica la sua sfuriata contro i lavori per la segnaletica del Giro d’Italia che avevano bloccato un’arteria cittadina (e la sua automobile): «Del Giro non me ne può fregar di meno, che vadano a farsi il giro del Friuli!», tuonava ai microfoni del Tg3.

Dipiazza raccoglie il favore della parte più anziana dell’elettorato ed è dato come vincitore quasi certo anche in questa tornata grazie al suo consenso e al fatto che gode della simpatia di una buona parte dei triestini: alle ultime elezioni, al primo turno portò a casa dieci punti di scarto rispetto a Roberto Consolini, sindaco uscente e candidato del centrosinistra.

Di Piazza può poi bearsi dei frutti del lavoro altrui che sono giunti a maturazione proprio durante il suo ultimo mandato. Un ottimo esempio è lo sviluppo del nuovo porto, per cui i lavori erano però stati decisi già dalla giunta regionale di Debora Serracchiani.

Stesso discorso per la Ferriera Arvedi: il sindaco si intesta la chiusura della vecchia fabbrica inquinante, da tempo chiesta dai cittadini a causa della sua posizione relativamente centrale, ma a contribuire in maniera decisiva alla soluzione del problema (lo sforzo di tenerla in vita era costata molto consenso a Consolini) è stato l’intervento dell’allora ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, anche lui triestino. A far da controcanto nel centrodestra al sindaco uscente sarà Franco Bandelli, che pure viene da una tradizione forzista e rischia di sottrarre qualche voto al candidato già spalleggiato anche dalla Lega del presidente di regione Massimiliano Fedriga.

A fare un grosso salto di qualità nelle prossime elezioni dovrebbe essere proprio il partito di Salvini, tradizionalmente poco radicato in Friuli-Venezia Giulia. A restare a bocca asciutta sarà invece Fratelli d’Italia, che pure ha una fortissima tradizione in regione per motivi storici. Pur criticando la mancanza di ricambio generazionale nella classe dirigente del centrodestra e riservandosi dunque di valutare il sostegno a Dipiazza, nei fatti FdI non ha alternative da presentare e quindi ha già accettato l’accordo. Ma nel partito guardano a Pordenone, dove corre Alessandro Cipriani, fratello di Luca che a Roma è capogruppo al Senato: è sul suo futuro in regione, magari in sostituzione di Fedriga che punta il partito di Meloni.

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