Vederlo in giro nei corridoi del Campidoglio è normale. Nonostante di mestiere faccia il deputato, eletto alle ultime politiche, la sede del comune di Roma è nei fatti la sua casa. Politica, sentimentale, istituzionale. Claudio Mancini non è una presenza fissa negli uffici capitolini, ma quando si materializza è per un motivo ben preciso: risolvere qualche problema. Così prende il dossier in mano, lo valuta, e suggerisce le soluzioni al sindaco Roberto Gualtieri, che di lui si fida ciecamente. «Quando c’è qualcosa che non va, prende il telefono e chiama Claudio», racconta a microfoni spenti una fonte della giunta.

Più che un Mr. Wolf di tarantiniana memoria è il sindaco ombra. Anzi, volente o nolente, si è conquistato la definizione di “vero sindaco di Roma”. Spesso tratteggiato come una sorta di eminenza grigia, nella versione meno malevola, o un “uomo nero” per gli avversari che lo temono. La realtà è che le sue opinioni fanno presa sul primo cittadino, che spesso le trasforma in decisioni ufficiali.

Dal Campidoglio al Pd

Negli ultimi mesi l’attività di Mancini al Campidoglio si è intensificata. Le dimissioni di Albino Ruberti da capo di gabinetto, dopo il video in cui minacciava il broker Vladimiro De Angelis, hanno creato un problema gestionale della macchina comunale. La vicenda sarà chiarita dalla magistratura, il fatto certo è che Ruberti aveva sgravato in parte il lavoro di Mancini. Che è stato così “richiamato” in servizio, seppure senza ruoli ufficiali, perché sul tavolo si sono addensate questioni amministrative cruciali come l’organizzazione del Giubileo 2025, con vista sul Giubileo straordinario del 2033, più la candidatura all’Expo 2030.

Lui conosce a menadito i dossier e sta facendo da mediatore sulla vicenda della ztl fascia verde, che sta provocando proteste popolari. Lo scopo? Arrivare a una soluzione meno draconiana rispetto a quella iniziale voluta dall’assessore alla Mobilità, Eugenio Patanè, e approvata da Gualtieri. Il timore è che intorno a questa storia si giochi gran parte del consenso nelle future amministrative.

Di mezzo ci sono poi le beghe politiche del Pd romano, ritratto perfetto della complessità di un partito diviso per bande. Mancini conosce questo variegato universo da trent’anni. Può dare del tu a tutti i protagonisti, sa come trattarli, quali strategie adottare per smussare gli angoli e trovare un compromesso per abbassare il livello di tensione. Anche nel partito a Roma preferiscono chiamare lui a risolvere i problemi più che il suo collega a Montecitorio, Andrea Casu, segretario cittadino dal 2017.

Un mediano che fa gol

Insomma Mancini, 54 anni, è una figura chiave nella Roma governata di nuovo dal centrosinistra dopo la parentesi di Virginia Raggi. Il salto di qualità è stato l’incarico da tesoriere del Pd di Roma, assunto nel 2019. È stato Luigi Zanda, in quel periodo tesoriere nazionale, a dargli la patata bollente e Mancini, consapevole di giocarsi mezza carriera politica, ha accettato con il più tipico «obbedisco».

La soluzione è stata una cura da cavallo, chiudendo le sedi, rateizzando i debiti, tagliando i costi fino all’ultimo centesimo. Per questo è stato accusato dai detrattori di aver liquidato il partito romano. «L’alternativa era di portare i libri in tribunale», è la sua replica. Fatto sta che con l’operazione risanamento e la gestione della cassa è diventato molto influente nel Pd della capitale.

Alla domanda se sia davvero così potente, lui si schermisce. «Ma no. Io sono solo un mediano, un uomo di partito che è sempre a disposizione», dice a Domani. Il physique dû rôle è quello del politico di apparato, memoria storica del centrosinistra, capace di intrattenere gli interlocutori per ore, parlando della sinistra, dalla fine del Pci alla fondazione del Pd.

Con tanto di dettagli e aneddoti. Solo che a conoscerlo meglio, il mediano Mancini ammette di essere «un po’ sottovalutato», perché «abbiamo sempre fatto delle proposte di qualità. Eravamo un nucleo di qualità», insiste, dando per scontato che la prima persona al plurale includa anche Gualtieri. Più che un mediano si scopre regista, più Daniele De Rossi che Damiano Tommasi, con la capacità di realizzare qualche gol.

Il colpo Gualtieri

Roberto Gualtieri (Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 11-05-2023 Roma)

Di sicuro quello più importante l’ha messo a segno, architettando in prima persona la candidatura di Gualtieri. Nei giorni della trattativa sul nome del candidato del Pd al Campidoglio, l’allora segretario Enrico Letta, convinto di dover puntare su un big, ambiva a strappare il “sì” di Nicola Zingaretti. Mancini concordava sull’idea di scegliere un profilo nazionale, ma promuoveva contemporaneamente il nome dell’ex ministro dell’Economia, fresco di elezione a deputato.

Un’incessante opera di convincimento portata avanti in privato con Letta e in pubblico nelle assemblee di partito con lo scopo di spingere i quadri dirigenziali romani a convergere su Gualtieri. Dopo due mesi di pressing asfissiante, da instancabile mediano, in un sonnolento 9 maggio, Letta ha rotto gli indugi e puntato sull’ex eurodeputato, che prontamente ha avvisato il suo alleato numero uno.

«Stavo guardando la partita Benevento-Cagliari», ricorda, quando gli è arrivata la telefonata del compagno, neo candidato. Così hanno iniziato a scrivere un altro capitolo di un legame saldissimo, risalente addirittura nella metà degli anni Novanta. Entrambi di Monteverde, quartiere benestante collocato a ovest del centro storico di Roma, Mancini e Gualtieri dopo la fine del Pci erano accomunati da un obiettivo: portare il pensiero gramsciano nel nuovo millennio. La passione per la riflessione si è sostanziata con l’esperienza nell’istituto Gramsci, dove sono entrati in contatto con Beppe Vacca, padre nobile del think tank, e successivamente con suo figlio, Ignazio Vacca, gran cerimoniere delle nomine durante il governo Conte II.

Dalemiani eretici

Nel 2001, la coppia ha fondato la rivista Lettera, rivista di approfondimento politico in cui ha iniziato a farsi le ossa un giovanissimo, Matteo Orfini, prima che diventasse il braccio destro di Massimo D’Alema. Erano anni di fermento in cui, Mancini e Gualtieri sotto l’etichetta di dalemiani, teorizzavano un “partito riformista”, parente lontano di quello che diventerà il Partito democratico. Idea eretica disapprovata da D’Alema stesso. Al contrario della vulgata di uomini di potere, «siamo stati spesso minoranza, quasi mai supportati dai big», tiene a dire Mancini.

L’uso del «noi» è martellante da parte del deputato: Gualtieri e Mancini sono un tutt’uno, politicamente parlando. Certo, i profili sono distinti: Mancini politico del territorio, già presidente dal 1994 al 1997 del suo municipio, quello di Monteverde appunto, Gualtieri il secchione con l’aura del futuro intellettuale organico.

Nel 2005 Mancini viene eletto in consiglio regionale, e più tardi viene iscritto ai “giovani turchi”, la corrente in cui spicca Orfini. Nel frattempo il compagno di battaglie politiche ha consolidato il profilo di studioso, entrando per la prima volta nell’europarlamento nel 2009. Il 2011 è l’anno spartiacque: l’allora consigliere regionale ha un problema di salute e stacca la spina per qualche tempo. Fino al ritorno in scena nel 2018, con una candidatura alla Camera. E quindi la scalata fino alla conquista del Campidoglio per interposta persona, il compagno Gualtieri.

Monteverde al potere

Con questo cursus honorum Mancini è diventato il capo della filiera di potere monteverdina. Il suo erede è Fabio Bellini, ininterrottamente presidente del municipio di Monteverde dal 2001 al 2013. Il viatico perfetto per la successiva elezione in Consiglio regionale del Lazio. Con l’insediamento di Gualtieri al Campidoglio, Bellini è stato nominato consulente dell’assessore all’Urbanistica, Maurizio Veloccia. Per Mancini un uomo di fiducia in uno dei ruoli chiave dell’amministrazione capitolina. Un’altra ex presidente del municipio di Monteverde è Cristina Maltese, che nel 2013 ha raccolto il testimone di Bellini.

Nel 2019 è stata quindi chiamata al Mef, da consulente dell’attuale sindaco appena nominato ministro dell’Economia nel governo Conte bis. Inevitabile che la volesse di nuovo al fianco, con la benedizione di Mancini, nell’esperienza al Campidoglio. E sempre dallo stesso quartiere proviene Roberto Baldetti, nominato nel dicembre 2021 presidente della commissione di esperti del comune per il trasporto pubblico non di linea. I nuovi rampolli di una genia politica cresciuta a pane, Mancini e Monteverde.

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