Alla chiusura dei seggi, il pomeriggio del 21 settembre, i leader del Movimento 5 stelle avevano due speranze: che il Sì vincesse con un ampio margine e che la prevedibile sconfitta alle elezioni regionali venisse contenuta entro proporzioni accettabili. Al termine dello spoglio dei voti i Sì avevano vinto con il 70 per cento, ma nelle regioni il voto si è rivelato un disastro. In nessuna di queste la sconfitta è stata più grave e dolorosa che in Puglia, storico serbatoio di voti e sede di battaglie con le quali il Movimento ha finito con l’identificarsi, come quella sul gasdotto Tap o sull’Ilva di Taranto.

La sconfitta ha alimentato scontri interni e accuse reciproche, al punto che Barbara Lezzi, la più influente dei parlamentari pugliesi, ha minacciato di dimettersi, anche se per ora si è limitata a uscire dalla chat del gruppo parlamentare. La regione è diventata così un simbolo delle difficoltà del Movimento nel gestire i rapporti tra il potente partito dei parlamentari e gli attivisti sul territorio. Un problema che lo affligge non solo in Puglia, ma in tutto il paese.

La conquista della Puglia

«Quando i 5 Stelle arrivarono in Puglia ai cittadini sembrò davvero di avere il cambiamento davanti agli occhi», dice Davide Galantino, un deputato eletto con il Movimento 5 stelle nel 2018 e passato a Fratelli d’Italia. Galantino è un ex militare di Canosa di Puglia che ha iniziato a fare politica durante la campagna elettorale del Movimento per le elezioni regionali del 2015. In quegli anni, racconta, il Movimento si era radicato sul territorio reclutando tra le sue fila molti attivisti impegnati nelle battaglie storiche della regione e, in cambio della promessa di portarle avanti in parlamento, aveva ottenuto il loro appoggio sul territorio.

«I 5 stelle sono stati l’unico partito ad appoggiare le nostre rivendicazioni», conferma Gianluca Maggiore, portavoce del comitato NoTap, un gruppo di cittadini del Salento che si oppone alla costruzione del gasdotto che attraverserà il loro territorio. Lo stesso è accaduto a Taranto, dove la questione era invece quella dell’Ilva, la grande acciaieria commissariata nel 2012 a causa di numerose violazioni ambientali. «A Taranto il Movimento era visto come l’unica speranza di un popolo inascoltato, quello dei lavoratori dell’Ilva e delle loro famiglie», dice Franco Rizzo, il coordinatore del sindacato Usb della città.

Nel 2015 la Puglia con i suoi centoventi Meetup era la quarta regione per numero di sezioni locali del Movimento 5 stelle. Anche nei comuni più remoti era difficile non imbattersi in un banchetto di attivisti che raccoglievano firme per qualche iniziativa. A partire dal 2013 la regione divenne uno dei principali serbatoi di voti del partito di Grillo. Alle politiche di quell’anno il Movimento raccolse mezzo milione di voti, il 25 per cento del totale. Cinque anni dopo, nel 2018, li raddoppiò, sfiorando 45 per cento pari a quasi un milione dei voti.

I semi della discordia

I primi scontri interni al partito pugliese iniziarono alla fine del 2012, in occasione della scelta dei candidati alle elezioni politiche dell’anno successivo. La fazione che riuscì a conquistare le prime posizioni nelle varie liste era guidata da Barbara Lezzi, all’epoca semplice militante, ma destinata a diventare una delle parlamentari più potenti del partito (Lezzi ha rifiutato una richiesta di intervista da parte di Domani).

Ma nei giorni successivi alla vittoria nelle parlamentarie, Lezzi e i suoi alleati furono accusati di aver creato una “cordata”, un gruppo di candidati che si era accordato per distribuire tra di loro le tre preferenze che spettavano a ogni attivista. Ci furono proteste da parte degli sconfitti, vennero pubblicate le chat che mostravano l’organizzazione della “cordata” e il clima si fece teso.

Tra gli avversari di Lezzi c’era Alfredo Ronzino, che nel 2011 era stato il primo candidato sindaco del Movimento nella regione. Ronzino, che in passato aveva militato nel Partito repubblicano, racconta di aver mostrato a Grillo le chat in cui la “cordata” si organizzava e gli chiese di intervenire. «Lui mi disse che dovevamo prima pensare a vincere, poi sarebbe venuto lui in Puglia a sistemare tutto. Cosa che non ha mai fatto». Ronzino è rimasto nel Movimento per altri due anni. Poi, nel 2015, ha scoperto che il profilo nel portale web del Movimento era stato cancellato.

Negli ultimi anni, la sensazione di essere abbandonati dai vertici del partito e quella che gli interessi dei parlamentari avessero la precedenza sulle esigenze del territorio sono diventati sentimenti comuni a molti attivisti della regione. I Meetup pugliesi hanno iniziato a svuotarsi e i banchetti degli attivisti sono spariti. Secondo Cristian Casili, uno dei pochi consiglieri pugliesi che sono riusciti a essere rieletti, questa disillusione era inevitabile. «Si è perso l’attivismo perché non si è voluto “continuare a soffrire”, è fisiologico che questo accada quando si diventa forza di governo», dice.

Ma gli scontri fratricidi e l’incapacità dei leader nazionali di ricomporli sono all’ordine del giorno nel Movimento e non solo in Puglia. Tra il 2015 e il 2016, ad esempio, il Movimento 5 stelle ha rinunciato a presentare liste a Rimini, Caserta, Latina, Ravenna e Salerno a causa degli scontri tra attivisti che non era in grado di risolvere.

Il partito liquido

Dopo il record alle elezioni del 2018, la situazione del Movimento pugliese è rapidamente degenerata in scontri, faide e promesse non mantenute. La più grande tra queste ultime è stata probabilmente la decisione di non fermare la Tap, su cui si erano impegnati personalmente Lezzi e Alessandro Di Battista, uno leader dei più noti del Movimento. «Quando hanno mollato sulla Tap si è sciolto il comitato 5 Stelle a Melendugno», dice Maggiore, il portavoce dei NoTap, riferendosi a uno dei principali comuni tra quelli coinvolti nel progetto. Gli attivisti che ne facevano parte si sono visti bloccare sui social dai parlamentari che fino a quel momento erano stati i loro punti di riferimento.

Dopo il Tap è arrivata la decisione di proseguire la produzione all’Ilva. «A Taranto il gruppo storico dei cinquestelle, che faceva politica prima del 4 marzo promettendo la chiusura di Ilva, non c’è più. È stato sostituito da un nuovo gruppo che fa capo a Roma e che ha tradito tutte le battaglie con cui il Movimento aveva raccolto consenso», aggiunge Rizzo, coordinatore dell’Usb di Taranto.

In questo clima di abbandono, il Movimento pugliese ha provato a rinsaldare le fila. Antonella Laricchia, candidata alla presidenza della regione alle ultime elezioni, si è opposta caparbiamente alle richieste che arrivavano da Roma di formare un’alleanza con il presidente uscente della regione, Michele Emiliano, per evitare che una sua sconfitta facesse traballare il governo. Ma, ancora una volta, le dinamiche locali sono entrate in conflitto con quelle nazionali. «Nessuno ha difeso Laricchia dagli attacchi che le sono arrivati dal Fatto Quotidiano», dice Giovanni Vianello, deputato del Movimento eletto a Taranto, riferendosi al giornale vicino al Movimento, ma favorevole all’attuale governo di coalizione. «Se ci fosse stato più calore alle spalle della Laricchia le cose sarebbero potute andare diversamente».

Secondo Stefano Cristante, professore di sociologia della Comunicazione all’Università del Salento, che da tempo segue le vicende del Movimento nella sua regione, a queste condizioni, l’esito delle ultime elezioni era scontato. «Non c'è stato un radicamento territoriale - dice - il Movimento non ha creato un vero partito, né ha provato a creare una qualche nuova forma di aggregazione. È rimasto liquido a livello territoriale, solido a livello di interessi parlamentari nazionali e gassoso a livello di apparizioni dei leader nella regione».

Il 10 per cento raccolto da Laricchia è il risultato più basso del Movimento in regione, ma rappresenta pur sempre un nucleo di 200mila voti. Quasi nessuno degli elettori del Movimento 5 stelle, inoltre, ha optato per il voto disgiunto (cioè hanno tutti votato sia per la lista che per il candidato del Movimento), dimostrando una forte compattezza. Ora che il Movimento si appresta a iniziare i suoi “stati generali” per fare i conti con la sconfitta, potrebbe cercare di darsi finalmente una vera struttura, che dia un senso ai legami tra partito centrale e territorio. In caso contrario, il destino della Puglia è lì a ricordare la fine che potrebbe presto fare l’intero partito. 

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