«C’è il politico di vecchio corso, scafato, perfettamente padrone della macchina amministrativa, che evoca pensieri nostalgici e teneri per un passato che però non c’è più. Poi c’è la ragazza determinata, rampante, e appassionata, che però ha 34 anni e troppo poca esperienza per una città che proviene da un periodo devastante, un sindaco a un secondo mandato plumbeo, un consiglio comunale immobilizzato perché diviso, anche dentro la maggioranza. C’è un magistrato anticamorra, molto innamorato di Napoli, lui è il contrario diametrale rispetto a Bassolino: non ha un’esperienza politica consolidata, non ha una conoscenza diretta della macchina amministrativa, certo ha una grande passione civile, è impegnato nel sociale, ha un’associazione che destina i ragazzi all’apprendistato dell’artigianato». In ordine di apparizione Antonio Bassolino, cinque liste, Alessandra Clemente, tre liste, Catello Maresca, otto liste. Sono i personaggi di questa storia e ce li tratteggia Maurizio de Giovanni, grande scrittore tendente al noir (de Giovanni è il padre della saga dei bastardi di Pizzofalcone, del commissario Ricciardi, di Mina Settembre, ma è anche un combattente civile e un volontario dei laboratori di scrittura del carcere minorile di Nisida).

Colpa del sindaco

La storia è quella di una città che prova a scrollarsi di dosso i giorni dell’abbandono. Il quarto personaggio è Gaetano Manfredi, tredici liste, candidato di Pd, M5s e Art.1. «Manfredi viene dal mondo accademico, quindi non è un politico di lungo corso. Ma è stato ministro. Manfredi ha le connessioni che servono alla città. E che non hanno gli altri tre. Manfredi in questo momento può alzare il telefono e parlare con chiunque, da Bruxelles a Roma a palazzo Santa Lucia, cioè alla regione. Perché c’è anche un quinto personaggio, il fantasma di De Luca, il presidente della regione. Napoli domenica elegge il sindaco dell’area metropolitana, tre milioni e mezzo di abitanti su poco meno di sei. E un sindaco che non parla con il presidente della regione, come è stato in questi ultimi anni, sarebbe un guaio esiziale».

De Giovanni sostiene Manfredi. Ma qualche giorno fa ha presentato il libro di Antonio Bassolino, Terra nostra. Napoli la cura e la politica (Marsilio), «io l’ho fatto con affetto», racconta, «e lui è stato elegantissimo nel non toccare l’argomento elettorale, cosa difficilissima in questo momento, segno di signorilità e cultura». È questa la cifra della vigilia del voto. Una sinistra con il cuore a metà, o forse due terzi e un terzo. Lo stato maggiore del Pd lavora ventre a terra perché l’ex ministro passi al primo turno. I Cinque stelle sono occupati a fare di Napoli la piattaforma del rilancio di Giuseppe Conte, che ha fortissimamente voluto il “suo” candidato. L’operazione è possibile perché l’uomo della destra, il magistrato Maresca, ha misteriosamente perso per strada quattro liste – un curioso ritardo nella presentazione – e progressivamente deteriorato i rapporti con i partiti della coalizione, che tiene a distanza.

Ingraiani contro miglioristi

Ma se l’operazione al primo turno non riesce, sarà “colpa” del “sindaco”. Perché il sindaco resta Bassolino, per quindici anni fra alti e bassi il simbolo del Rinascimento napoletano, da palazzo San Giacomo per due mandati e palazzo Santa Lucia per uno, ex Pci, ingraiano di rito speciale, padre di molte generazioni di politici non solo napoletani. Diciannove processi, una via crucis di diciassette anni, diciannove assoluzioni.

Ma i suoi “ragazzi” ora, posizionati con il Pd o con Art.1, sostengono Manfredi. Come il suo ex pupillo Andrea Cozzolino, oggi vicino a Conte. O il suo allievo Massimo Paolucci, che parla di Bassolino come «un gigante» ma considera «un errore non sostenere Manfredi, un ottimo candidato in netta discontinuità con il Pd napoletano». E al contrario stanno con lui i miglioristi, la corrente che da sempre gli aveva fatto la guerra nella grande epopea del Pci napoletano: Umberto Minopoli, Umberto Ranieri, Geppino D’Alò.

Poi c’è la leva dei più giovani, i cinquantenni. «Antonio ha scelto di candidarsi dopo essere stato un grande sindaco e dopo aver subito un ingiusto calvario giudiziario. Però penso che la politica non si faccia con i risentimenti e quindi appoggio Manfredi, che può offrire una più concreta opportunità di rilancio per una città devastata dai dieci anni di De Magistris», spiega Gennaro Migliore, oggi deputato renziano ma con un passato da capogruppo al comune di Napoli per i colori di Rifondazione comunista, all’epoca alleata di Bassolino. «Credo molto nel patto per Napoli firmato da Conte, Letta e Speranza. Napoli è una grande questione nazionale, non una disputa strapaesana. Abbiamo un debito di 3 miliardi, nessuno può governare una città del sud in dissesto se non attraverso un impegno di tutte le istituzioni, a partire dal governo», dice Arturo Scotto, nel 2006 il più giovane eletto dell’Ulivo dalle file dei Ds, oggi coordinatore nazionale di Art.1. «I servizi sono ridotti al lumicino, la macchina comunale è inceppata, la camorra ha rialzato la testa e rischia di chiudere uno degli ultimi polmoni industriali della città come la Whirlpool. Il nuovo fronte progressista passa dalla rinascita di Napoli». E se ci sarà un ballottaggio fra Manfredi e Bassolino? «Verso Bassolino provo grande affetto ma non ci sarà un ballottaggio a sinistra. Nei napoletani prevarrà l’idea che c’è un campo di forze che si è messo assieme per governare Napoli». Peppe De Cristofaro, ex Fgci napoletana, ora Sinistra italiana schierata con Manfredi: «Ricordo la passione civile che attraversò la città nella fase straordinaria del primo mandato di Bassolino. Ma poi vennero gli errori, tanti, che segnarono gli anni successivi. Non solo la gestione rifiuti, ma l’aver consegnato settori strategici – uno per tutti, la sanità regionale – al notabilato Dc che aveva segnato gli anni peggiori della Prima repubblica. Scelte sbagliate, che portarono il mio stesso partito dell’epoca, il Prc, a lasciare, se pure a malincuore, la sua giunta regionale. Riconosco che questa sua nuova candidatura sia servita ad animare un dibattito in città e credo che con lui, e con chi lo sostiene, bisognerà tenere aperto il dibattito negli anni che verranno».

Intanto però c’è il ballottaggio. Al quale Bassolino si prepara anche guardando a destra. Qualche giorno fa al centro studi Pietro Golia ha incontrato vecchi arnesi della destra come Amedeo Labboccetta e Mario Landolfi. E persino Arcibaldo Miller, un magistrato che lo ha indagato più volte, ora in pensione. Scotto: «Landolfi ora gli chiede di intestare una piazza ad Almirante. Nel mese delle Quattro giornate di Napoli non si prende nemmeno un caffè con personaggi squalificati di quel tipo».

Ancora Bassolino?

Bassolino non si scompone. I sostenitori di Manfredi chiedono il voto utile. «Sarebbe utile per la città se arrivassi al ballottaggio», risponde, «sarebbe un bel confronto, che non c’è stato fino a qui. A me dispiace che Manfredi non abbia partecipato a nessun confronto con gli altri candidati». Lei ha diviso la sinistra? «E come, quando? Io mi sono candidato il 13 febbraio. Non perché fossi in anticipo, ma perché si doveva votare a maggio. E non c’era nessun altro, non mi sono candidato contro nessuno. Per mesi ho detto pubblicamente al partito che ho contribuito a fondare (il Pd, ndr) “vorrei dare una mano alla città”. Mai nessuna interlocuzione». «Ma io penso che stiamo facendo una bella campagna elettorale, fatta con impegno e autoronia: “Ancora Bassolino?” dicono i nostri manifesti. Sì, ancora Bassolino perché Napoli ha bisogno di esperienza e serietà. Di un sindaco che sa fare il sindaco. Quanto al patto che fanno i partiti del governo Conte, voglio dire: quel governo non c’è più, c’è il governo Draghi. Il patto per Napoli lo deve fare il nuovo sindaco, con Draghi e con tutti i partiti del governo Draghi, con Carfagna e Giorgetti, oltre che con Pd e M5s».

Chi scrive il finale

De Giovanni abbozza un finale per questa storia: «Manfredi è un uomo pacato, non urlerà, non si sbraccerà, forse sarà meno carismatico di altri, non lo vedremo con la bandana, io penso che dorma in giacca e cravatta. Non è uomo che arringa le masse, il contrario di Masaniello, ma vivaddio, Napoli ora deve entrare in Europa, con un centinaio di anni di ritardo. Tendiamo a dimenticare che il Pnrr è un debito, lo trattiamo come una nobile elargizione, se non si mette a frutto ogni singolo centesimo le generazioni successive ci malediranno per sempre. Se potremo utilizzare questi soldi con rigore e attenzione, la città veramente può rinascere. E se rinasce Napoli rinasce tutto il meridione. Questa città ha bisogno di connessioni. È un’isola in questo momento, ha bisogno di ponti». C’è però chi è sicuro che se Bassolino arrivasse al ballottaggio vincerebbe con i voti della destra. Lui sorride: «Al ballottaggio dobbiamo ancora arrivarci. Passo dopo passo, come quando salgo sulle mie amate Dolomiti. C’è ancora un tratto».

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