Congedi di paternità e maternità non paritari fanno sì che assumere un uomo o una donna nel nostro paese non garantisca le stesse prospettive di presenza o discontinuità lavorativa. Esiste un gap nella partecipazione femminile rispetto a quella maschile, ma siamo anche tra i paesi europei con la minor presenza di donne nel mercato del lavoro formale retribuito.

Inoltre, che la cura sia parte determinante della sfera economica è ormai chiaro da decenni, almeno a livello internazionale. Che sia sbilanciata sulle spalle delle donne nel nostro paese e questo non faciliti la partecipazione femminile al mercato del lavoro anche. In Italia gli standard di cura sono molto alti, ma il contributo degli uomini è basso e non paritario.

Tutto ciò fa sì che ogni anno i dati delle dimissioni volontarie di genitori con figli da 0 a 3 anni forniti dall’Ispettorato nazionale del lavoro mostrino una maggioranza schiacciante di donne che lasciano il lavoro, che la partecipazione vari per le donne in base al numero di figli e che le carriere femminili siano più discontinue e, pertanto, più complesse.

Inoltre, ingenera un tasso di fecondità (numero di figli per donna) molto basso, ma soprattutto un ampio fertility gap: un importante divario tra il numero di figli desiderato e il numero di figli avuto. Infatti, dove le donne lavorano di più è dove nascono più figli e dove le carriere lavorative sono più solide, stabili ed economicamente ben remunerate, la fecondità è più alta.

C’è una politica che andrebbe ad agire su tutti questi aspetti, ovviamente affiancata a politiche economiche di stabilizzazione delle carriere, di aumento della partecipazione attraverso modalità di lavoro flessibile, dell’investimento sui servizi alla prima infanzia: si tratta della parificazione dei congedi di maternità e paternità, con l’introduzione dei congedi di genitorialità.

Solo nel 2012, con la legge 92, nel nostro paese diventava obbligatorio il congedo di paternità. Nonostante l’obbligatorietà, sono stati e sono tutt’oggi pochi i padri a usufruirne. I dati Inps sui dipendenti del settore privato dicono che nel 2013 solo il 12 per cento dei neo papà ne usufruì in modo pieno, pur trattandosi di un congedo della durata di un solo giorno. Nel 2018, quando i giorni diventarono quattro, la quota di padri beneficiari arrivava al 33 per cento. Recentemente è entrata in vigore l’estensione a dieci giorni del congedo obbligatorio del padre retribuito al 100 per cento.

Non va di certo meglio coi congedi parentali: lo stesso recentissimo decreto legislativo (105 del 30 giugno 2022), ha aumentato il numero di mesi usufruibili univocamente da uno dei due genitori (tre mesi la madre, tre il padre e tre per uno solo dei genitori) rimanendo però pagati al 30 per cento. Solo il sette per cento dei padri italiani, prima di questa riforma, usufruiva del congedo parentale, contro il 69 per cento degli svedesi che detengono il record in Europa (Istat).

Congedi paritari

Per i congedi di genitorialità già nel 2010, ventidue anni fa, l’Ue chiedeva un minimo di due settimane esclusive di congedo di paternità e nel 2019 ribadiva la necessità di equilibrio tra attività professionale e vita familiare per le madri e anche per i padri. In Spagna da gennaio 2021 i giorni di congedo sono equivalenti per entrambi i genitori. Sia le madri che i padri hanno diritto a 16 settimane, non trasferibili, pagate al 100 per cento.

Per l’Italia, vista l’attuale soglia di cinque mesi del congedo di maternità, la proposta sarebbe di un congedo genitoriale paritario di cinque mesi, retribuito al 100 per cento per tutte le famiglie in caso di nascita o adozione di un figlio. I cinque mesi della madre rimarrebbero fruibili dai due mesi precedenti alla nascita fino ai cinque successivi (a partire dall’ingresso in famiglia per le adozioni).

Quelli del padre fino ai diciotto mesi, con la possibilità del massimo di un mese di sovrapposizione tra i due genitori e di usufruirne in maniera non continuativa. Il congedo andrebbe esteso a tutte le categorie di lavoratori e lavoratrici.

Oggi in alcuni casi particolari è il padre a poter usufruire del congedo di maternità: in quei casi, e nei casi corrispondenti in cui ad essere genitore unico è la madre, oltre ai cinque mesi andrebbero previsti due mesi aggiuntivi facoltativi entro i diciotto mesi dalla nascita o adozione. Riprendendo la recente modifica dei congedi, si manterrebbero sanzioni per i datori di lavoro che ostacolano la fruizione del congedo di paternità obbligatoria e promossi interventi e iniziative di carattere informativo per la promozione e la conoscibilità delle misure.

La stima del costo di queste politiche è di circa 2,8 miliardi l’anno. Parte della spesa è già prevista, visto che lo stato paga già i cinque mesi di congedo di maternità all’80 per cento e dieci giorni di congedo di paternità al 100 per cento. Una questione fondamentale sarebbe determinare anticipi delle indennità da parte dell’Inps per le piccole e medie imprese.

L’indennità di maternità è di fatto anticipata dal datore di lavoro e successivamente rimborsata allo stesso tramite credito di imposta. Se lo stato sostenesse direttamente queste spese, il costo del o della dipendente in congedo genitoriale sarebbe subito a suo carico.

Già qualche proposta di legge in passato andava nella direzione della genitorialità: Giuditta Pini fu la prima a parlarne nel 2019. La proposta di legge Nannicini-Fedeli del 2021 prevede il congedo obbligatorio di paternità, a cinque mesi con copertura totale ma usufruibili entro i tre anni di vita del figlio.

Introduce anche la maggiorazione all’80 per cento della retribuzione dei mesi di congedo parentale, per incentivarne l’utilizzo da parte dei padri. Questa via potrebbe essere efficace: analisi europee dicono che la percentuale di retribuzione è fondamentale per il comportamento degli uomini, la quota più alta di utilizzo del congedo parentale non trasferibile da parte dei padri si registra nei Paesi in cui viene offerto il pagamento più alto.

Passi coraggiosi e radicali

Per concludere, questo tipo di politiche oltre ad avere l’effetto diretto di equiparare il lavoro femminile a quello maschile, ovviamente se portate avanti in una visione generale di parità salariale ed eliminazione delle altre barriere discriminatorie per le carriere femminili, e di aumentare la condivisione della cura, avrebbe anche l’effetto indiretto di agire sulla fecondità.

Oltre alla partecipazione femminile al mercato del lavoro, anche parità e politiche familiari incidono sulla fecondità. L’effetto diretto del congedo di genitorialità condiviso sulla fecondità non è ancora stato misurato – trattandosi di una formula che, come detto, è attiva da poco soltanto in Spagna – ciononostante è facile pensare che agendo sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro e sul lavoro di cura, indirettamente possa avere, soprattutto in un paese come il nostro in cui introdurrebbe una rivoluzione di tipo culturale molto decisa, un effetto anche e proprio sulla fecondità.

Tutto ciò va fatto, anche attraverso passi coraggiosi e radicali che rendano la parità una realtà non solo nel lavoro ma anche nella cura.

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