Alla fine del discorso ad applaudire sono in meno di venti delegati, giusto un gesto di disciplina verso il segretario Maurizio Landini che chiamando la presidente del consiglio Giorgia Meloni sul palco avverte severamente i suoi: «Saper ascoltare è la condizione per essere ascoltati».

E ringraziandola di aver accettato l’invito, cerca ancora di spiegarne la ragione più che altro ancora ai suoi: «Lei ci ha detto che si trova a affrontare situazione difficilissima, straordinaria, e siamo d’accordo, proprio per questo il mondo del lavoro deve essere messo nella condizione di discutere. Non vogliamo essere spettatori del cambiamento ma protagonisti. Per questo l’abbiamo invitata».

Già, perché l’ha invitata? Per dimostrare che la Cgil è ancora una forza riconosciuta dalle istituzioni. E Meloni perché ha accettato? Per dimostrare che di essere all’altezza del suo ruolo, e di saper parlare anche con le parti sociali più distanti.

Ma ce la fa? Da subito Meloni sembra una leader di destra radicale, sfodera il suo sguardo più ardito, fiammeggia dagli occhi: perché per iniziare a parlare deve aspettare che una trentina di delegati di minoranza escano dalla sala in corteo cantando «Bella ciao», a pugno chiuso e sventolando le loro bandiere rosse. 

Poi ringrazia, spiega di aver accettato «in segno di rispetto in coerenza con un percorso di ascolto che il governo intende portare avanti», ringrazia anche quelli che la contestano ma non riesce a rinunciare al sarcasmo, «alcuni manifesti mi hanno fatto anche ridere, come quello che diceva 'Pensati sgradita'. Non pensavo che la Ferragni fosse un metalmeccanico». Ce l’ha con quella citazione con variazione della influencer a Sanremo. 

In realtà fuori dal Palacongresso di Rimini si distribuiscono anche peluche, altra citazione, questa amarissima: con i peluche è stato contestato il governo a Cutro dopo la strage di naufraghi.

Meloni, davanti alla platea composta ma gelida e silenziosa, dice che  questo è un appuntamento «al quale non ho voluto rinunciare, in segno di rispetto per il sindacato che è la più antica organizzazione del lavoro del nostro paese». Spiega di voler celebrare lì «l’unità nazionale», anche se oggi, il 17 marzo, ricorre il giorno dell’unità del Regno d’Italia. Poi prova a scherzare con Landini: nella sua relazione ha detto che la Cgil non è un sindacato d’opposizione: «E menomale». 

Anche stavolta non ride nessuno. È da 27 anni che manca un premier da un congresso Cgil, e lei si dichiara fiera di colmare l’assenza. Poi parte all’attacco: l’Italia è il paese in cui non crescono i salari, ma «la strada è puntare tutto sulla crescita economica», lo Stato ha il compito di fare «regole giuste» e «redistribuire la parte che gli compete», «il merito unico vero ascensore sociale», il salario minimo legale «non è efficace, la fissazione per legge può diventare non una tutela aggiuntiva ma sostitutiva» – e qui insiste perché sa di toccare un tasto sensibile - «la strada più efficace estendere i contratti collettivi, combattere i contratti pirata, ridurre il carico fiscale sul lavoro».

Sa che Maurizio Landini ha chiesto al governo di ritirare la delega fiscale. E risponde no: la legge è stata «un po’ frettolosamente bocciata da alcuni», cioè la Cgil stessa e i partiti della sinistra, invece «è una riforma che guarda con attenzione al lavoro, con importanti novità per i lavoratori dipendenti», «lavoriamo per una riforma complessiva che migliori l’efficienza della struttura, riduca il carico fiscale, che contrasti l’evasione fiscale, che semplifichi gli adempimenti e crei un nuovo rapporto di fiducia».

Ammortizzatori sociali universali

«Uno dei grandi temi su cui possiamo provare a lavorare insieme è un sistema di ammortizzatori sociali universale», «per il lavoro autonomi, dipendente e atipico, non si può costruire una cittadella di garantiti impermeabile a chi rimane fuori». Cita la legge Biagi, che non era piaciuta affatto al sindacato, ma lo fa per ricordare il giuslavorista ucciso nel 2002 e dire che «pensavamo che il tempo della contrapposizione ideologica feroce forse  dietro le nostre spalle» e invece no, e fa due esempi che nella sua idea sono paralleli: «l’assalto dell’estrema destra alla sede Cgil» e «le minacce dei movimenti anarchici che si rifanno alle Br».

Non rinuncia a spiegare gli effetti di stabilità politica del presidenzialismo, proposta che è nel dna della destra italiana e a cui la Cgil è più che allergica.

Fin qui gesti di dialogo non sono arrivati, nella sostanza. E allora promette che si confronterà sulla lotta all’inverno demografico, per il quale il governo ha in preparazione «un piano imponente» che – deve dirlo a scanso equivoci – conterrà incentivi alle imprese che assumono neomamme. Promette anche di non sguarnire il fronte contro la violenza contro le donne. E mancherebbe. 

Finisce nello stesso gelo in cui ha iniziato: «Su alcune cose sarà più facile trovare condivisione, su molte altre sarà difficile. Questo non vuol dire che non si debba tentare», «Rivendicate senza sconti, vi garantisco che le istanze troveranno sempre un impegno serio e senza pregiudizi».

Qualche delegato applaude pro forma, ma giusto un colpetto di mani imbarazzato, la premier esce dalla sala in silenzio, accompagnata dagli uomini di scorta e da Landini.

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