«Cosa succede? Succede che nessuno si aspettava fossimo così forti tra gli iscritti. E che il dato vero è che la partita è aperta». Marco Furfaro, il portavoce nazionale della mozione Schlein è un giovane con i piedi per terra, già nel gruppo di mischia di “Piazza Grande”, la campagna che portò all’elezione di Nicola Zingaretti alla segreteria nel marzo del 2019.

C’è gran confusione sui numeri ufficiali dei congressi dei circoli, che andranno avanti fino al 12 febbraio e fino al 19 nelle regioni che vanno al voto, Lazio e Lombardia. Da stasera il Pd ha deciso di rendere pubblici ogni giorno i dati bollinati, per evitare la guerra dei numeri fra opposti comitati. 

A capo della macchina c’è la milanese Silvia Roggiani, presidente della Commissione nazionale per il congresso, che in queste ore fa i conti con la difficoltà di mettere insieme dati attendibili. 

Fin qui Stefano Bonaccini comunque prevale. Nel primo week end la distanza era imponente, all’apparenza: lui al 50,22 per cento, lei al 36,37, Gianni Cuperlo all’8,6 e Paola De Micheli al 4,7. Ma il punto è che si tratta de voto degli iscritti. Questi numeri si riferiscono ai primi 15mila militanti. Oggi pomeriggio dal comitato Bonaccini arriva un aggiornamento: su oltre 21mila voti espressi, il presidente dell’Emilia Romagna resta in vantaggio, ma scende leggermente la percentuale: da 14 a 12 punti. Il suo 50,2 è comunque distante dal 37,1 di Schlein, che però sale leggermente. Seguono Cuperlo all’8,2 e De Micheli al 4,5.

Bonaccini insomma è al comando. Ma se anche la tendenza venisse confermata in tutti i circoli del partito, qual è la percentuale degli iscritti rispetto a quella dei simpatizzanti che il 26 febbraio andranno ai gazebo? Nessuno spera che alle primarie arrivi il milione e mezzo che elesse Zingaretti.

Se l’affluenza raggiungesse dagli 800mila voti in su, i sostenitori di Schlein sono certi di avere molte più chance di Bonaccini, che a loro dire fa il pieno solo nel partito. «Più il voto è ampio e libero, più è voto per Elly», è il ragionamento.

Il tema è che il voto interno è pericolosamente basso per il candidato favorito principalmente nel partito. La simulazione che viene snocciolata è più o meno la seguente: se ai circoli votano anche 150mila iscritti e Bonaccini vince con il 55 per cento, avrebbe preso 77mila voti. Poca cosa come base di partenza, di fronte agli 800 mila del voto aperto.  

Anche perché nelle grandi città, Milano, Torino e persino Firenze (considerato feudo del sindaco Dario Nardella, quindi pro Bonaccini), il voto di opinione gonfia le vele a Schlein. E persino a Bologna i due principali candidati si troverebbero affiancati, a un’incollatura. E poi c’è il Veneto: chi si sarebbe aspettato che la movimentista sarebbe andata bene in quella regione?

Utili pasticci

Intanto Roggiani ha incontrato i rappresentanti dei quattro candidati per evitare il peggio in Campania. A Caserta non è stata approvata l’anagrafe degli iscritti, e il comitato Schlein contesta i voti espressi. Per questo viene creato «un gruppo di lavoro» che concordi «a chi può essere data la possibilità di votare in osservanza dello statuto e del regolamento».

Ma al Comitato Schlein non basta. A Napoli Francesco Boccia ha annunciato le dimissioni da commissario del Pd campano in protesta sul caso proprio di Caserta: «Sono indignato, sono sicuro che il presidente della commissione regionale per il congresso Franco Roberti farà chiarezza. Non mi esprimo al posto della commissione di Caserta, di quella regionale e di quella nazionale perché sono sicuro che faranno il loro dovere. Non è possibile in alcune città ritrovarsi più iscritti che voti presi alle scorse politiche».

Altri pasticci si sospettano a Sessa Aurunca: lì la moltiplicazione delle tessere è stata attribuita, dal presidente del Consiglio regionale Gennaro Oliviero, a una curiosa «ventata di novità che sta trasmettendo Bonaccini». «Mi auguro che i suoi compagni di partito e di mozione gli chiedano conto», commenta Boccia. Per il quale in Campania anche stavolta, come in congressi precedenti, i conti non tornano un po’ più in generale. Secondo Boccia c’è presidente e presidente, e dietro lo slogan del “partito degli amministratori” si nasconde (neanche tanto) un baco: «De Luca è il presidente della  Campania come lo è Emiliano in Puglia. In Puglia c’è una discussione molto aperta anche tra i consiglieri regionali, che si sono divisi fra le varie mozioni, in Campania in consiglieri regionali sono tutti dalla stessa parte», «Penso che De Luca abbia il dovere di fare il bene, dentro l'amministrazione regionale della Campania, della Campania, e il Pd debba fare il Pd», «Se il partito diventa un’appendice dell’istituzione che tu governi, il partito finisce per essere poco credibile». 

Boccia soffia sulla questione della trasparenza e la fa diventare uno spot per la sua candidata: «In Campania con Elly ci sarà una vera primavera politica, ai ragazzi dico venite votate e rivoltate questo partito. Il futuro della sinistra siete voi ed Elly rigenererà con voi il Pd». 

Ripartire dagli iscritti

Intanto i quattro candidati girano per il paese, consapevoli che dal risultato del primo voto sarà già possibile vedere l’esito finale. «Abbiamo bisogno di ripartire dagli iscritti, che sono sempre meno e che vanno motivati e ai quali dobbiamo dare il potere di decidere le cose importanti. Serve un cambio radicale di modello», predica Paola De Micheli da Bari. 

Fin qui le primarie aperte, nella storia del Pd, hanno sempre confermato il risultato del voto degli iscritti. Anche se il segretario è eletto dai gazebo e non dai circoli. Ma stavolta, e per la prima volta, la possibilità che gli iscritti votino un segretario, e i gazebo una segretaria. Ripartire dagli iscritti potrebbe essere uno slogan, per così dire, poco unitario. Se non proprio un grido di battaglia. 

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