Giuseppe Conte cerca lavoro. Il motivo non è soltanto che il neoleader è spossato dalla campagna elettorale, come ha ammesso spiegando che è «una faticaccia enorme» e che non potrà «reggere fisicamente a lungo». La vera preoccupazione è il conto in banca: ha bisogno di nuove entrate.

L’avvocato di Volturara Appula non può contare né sugli introiti della sua attività nello studio dell’avvocato Guido Alpa né sullo stipendio da professore all’università di Firenze. La legge impedisce ai leader di partito di svolgere entrambe le attività.

II problema

Le finanze di Conte dunque languono, soprattutto di fronte a un impegno economico importante come la campagna elettorale che lo sta portando in tutta Italia. Il partito riesce a coprire solo una parte delle spese: dopo la rottura con Rousseau pochi parlamentari e consiglieri regionali hanno seguito l’invito dell’ex reggente Vito Crimi a versare 2.500 euro al mese al Movimento.

La campagna costa, e non poco: per finanziarla i Cinque stelle si dividono le spese. «Conte arriva, scende dalla jeep, fa il comizio che abbiamo messo in piedi noi e poi dobbiamo portarlo a cena», dice un deputato che lo ha accompagnato di recente a un appuntamento della campagna sul suo territorio.

Si capisce che dover contribuire di tasca propria alla campagna di un leader che sul partito oggi dice una cosa e domani il suo contrario è un’attività che suscita entusiasmi limitati.

Se i costi degli appuntamenti sono coperti da fondi privati di deputati e senatori e dalle casse dei rami locali del Movimento, i trasferimenti e le altre spese ricadono invece su Conte, che sta attingendo anche al suo patrimonio personale.

Lo sforzo sta iniziando a mettere alla prova il leader senza portafoglio.

La soluzione

Una soluzione Conte ce l’avrebbe: farsi eleggere in parlamento, cosa che gioverebbe anche all’alleanza di centrosinistra tra Movimento 5 stelle e Pd. Il leader ha messo gli occhi sul collegio Roma I, quello che raccoglie il centro storico e arriva fino al quartiere Ostiense e al rione Prati. Certo, per candidarsi l’attuale deputato di quel collegio dovrebe lasciare l’incarico, ma la possibilità che accada non è così remota: il parlamentare è Roberto Gualtieri, il candidato del Pd al Campidoglio.

Se dovesse essere eletto, ci saranno le elezioni suppletive: si ripeterebbe lo schema che era stato ipotizzato per il collegio di Primavalle, dove pure era stata ventilata la candidatura del leader del Movimento, poi sfumata.

La differenza è che per vincere Gualtieri avrà bisogno dei voti del Movimento al ballottaggio. Per il momento nei sondaggi è dato secondo dietro al candidato del centrodestra, Enrico Michetti.

La voce di un accordo tra Conte e Gualtieri (l’appoggio al ballottaggio in cambio del sostegno alle suppletive) era già circolata in agosto e smentita dal leader dei Cinque stelle, ma ora che la campagna entra nel vivo e il sostegno, anche economico, del partito non è quello che l’avvocato si aspettava, l’ipotesi ha ripreso quota.

Si tratta però di un seggio ambito: anche l’ex segretario del Pd Nicola Zingaretti starebbe valutando di candidarsi in caso di un successo di Gualtieri.

L’altro aspetto che salta all’occhio è quanto poco Conte scommetta sulle amministrative in generale e sulla corsa di Virginia Raggi in particolare: qualche giorno fa ha spiegato che «questa tornata amministrativa non può essere significativa per il corso del Movimento», non proprio un messaggio di rilancio.

Sembra quasi che l’avvocato voglia cautelarsi rispetto al disastro annunciato della tornata elettorale.

A questo punto lo sguardo del capo del Movimento, ancora alle prese con le difficoltà che accompagnano ogni inizio, sembra rivolto all’estratto conto più che al conto delle preferenze.

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