Lei alla marcia per la Pace di Assisi, domenica 10 dicembre, c’era. Lui invece non ha potuto esserci: colpa di una «brutta influenza», ha scritto su Instagram, ma avrebbe voluto marciare «con chi crede nella pace, nel rispetto del diritto internazionale e dei diritti fondamentali di ogni essere umano».

I cronisti ricordano che a fine ottobre, alla fiaccolata pacifista di Roma, lui c’era e lei no. E che lui, appena può, non perde l’occasione di distinguersi dal Pd sia sulla questione ucraina che su quella di maggiore attualità, il conflitto mediorientale. Lui chiede il «cessate il fuoco», lei «il cessate il fuoco umanitario». Giuseppe Conte marca a uomo, in questo caso “a donna”, la segretaria del Pd. Elly Schlein invece giura che da parte sua non c’è nessuna competizione con il presidente M5s, «l’avversario è la destra».

Ma più si avvicina la campagna elettorale europea, più la sfida fra i due leader si fa ruvida. Lei, Schlein, deve mettere una distanza di sicurezza fra il risultato del suo partito e quello del Movimento («serve un differenziale di vantaggio molto solido», diceva Piero Fassino qualche mese fa, quando si parlava del 10 per cento; ora per i sondaggi il “differenziale” si è molto ridotto). Lui deve spingere al massimo perché su quel risultato si «peserà» la forza del M5s nella futura alleanza di centrosinistra. E anche nella scelta del possibile federatore, se davvero ci sarà un’alleanza, Conte non accetterebbe i nomi circolati fin qui: né Paolo Gentiloni né Beppe Sala. La partita è lontana, ma se dovesse essere giocata oggi, calerebbe la carta Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli.

Nel frattempo la rincorsa è aperta. Schlein cerca di polarizzare lo scontro con Giorgia Meloni. Così ieri sul Corriere della Sera l’ha attaccata sulla ratifica del Mes: «Non è possibile bloccare tutto il resto dell’Europa per ragioni ideologiche». La replica: «I partiti dell’opposizione sono stati al governo quattro anni: perché non l’hanno ratificato se era così fondamentale?». La controreplica: «Meloni fa il gioco delle tre carte. Quello di cui discute non è l’attivazione del Mes ma la ratifica del trattato che lo modifica».

Il Conte incomodo

Conte invece punta a disinnescare la “polarizzazione” fra le due. Dunque prova a mettersi in mezzo, per agganciare anche lui la premier. Ieri dalle colonne di Repubblica ha inviato una lunga lettera aperta a Meloni sui casi Delmastro, Sgarbi e Santanché. Con malizia è stata intitolata sulla «questione morale», ossia sul tema berlingueriano per eccellenza. Fra i dem si fa notare una coincidenza gradevole e una sgradevole. L

a prima è che per una volta «Conte non attacca il Pd ma la maggioranza, era ora», dice un deputato vicino alla segretaria. La seconda, quella sgradevole, è che la lettera è uscita proprio il giorno dopo in cui un’inchiesta della trasmissione Report ha «rivelato» presunti conflitti di interesse per due deputati Pd, Alessandro Zan e Michela Di Biase (accuse «inconsistenti», nessuna preoccupazione da parte del Nazareno).

Ma il fatto ancora più urticante è che la «questione morale» è un’appropriazione dal pantheon Pd. E per rimarcarlo, in queste ore Schlein incastra gli impegni per essere presente all’inaugurazione della mostra “I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer” all’ex Mattatoio di Roma, venerdì 15 alle 11.

Una presenza non facile da assicurare, visto che quella mattina inaugura la sua due giorni sull’Europa in controprogrammazione di Atreju, la kermesse di FdI (i dem invece hanno affittato i Tiburtina Studios, parleranno Pina Picierno, Peppe Provenzano, Brando Benifei, Enzo Amendola, Rosy Bindi e Gentiloni, nella mattinata successiva Enrico Letta e Romano Prodi). Conte al Mattatoio è stato invitato, ma non ci sarà. Intanto come può attacca.

A partire dalla possibilità che Schlein si candidi da capolista per Bruxelles in tutte le circoscrizioni. Lui non lo farà: «Nella nostra tradizione di trasparenza e rispetto verso gli elettori, le candidature-civetta non possono trovare spazio». Schlein invece ci sta pensando. Intanto perché i sondaggi riservati premiano l’ipotesi. E poi perché se ormai tutti, amici e nemici, credono che il risultato del Pd sarà un «referendum» su di lei, tanto vale metterci la faccia.

Certo, dovrebbe affrontare le critiche sulle candidature civetta e soprattutto sul sabotaggio della presenza femminile nella delegazione di Bruxelles. Ma la segretaria si è convinta che anche Meloni si lancerà da capolista: a quel punto lo scontro diretto sarebbe servito. Sabato prossimo, il 16 dicembre, l’assemblea nazionale Pd aprirà ufficialmente le danze. Ma i candidati dem (e le candidate) dovranno pazientare ancora per conoscere la propria collocazione nelle liste: la leader scioglierà la sua riserva più avanti. Magari quando a sua volta la scioglierà l’inquilina di palazzo Chigi.

Dal lato FdI, un dirigente di prima fascia spiega che l’ipotesi è molto concreta ma «sulla materia regna il silenzio totale». O quasi, perché un’ideuzza viene lasciata scivolare: «E se la Meloni in corsa per Bruxelles non fosse Giorgia ma Arianna?». Una scelta che per la premier comporterebbe alcuni vantaggi: rafforzare il profilo politico della sorella, ormai plenipotenziaria del partito, tenere a bada il cognato Francesco Lollobrigida. E sdoppiarsi o, meglio, raddoppiarsi, anche senza candidarsi in prima persona.

© Riproduzione riservata