Un posto per un ex presidente del Consiglio non dovrebbe essere difficile da trovare. Eppure attualmente la seconda vita politica di Giuseppe Conte è tutt’altro che certa. Sfumate le ipotesi di un incarico da ministro e della candidatura alle suppletive per il collegio di Siena, l’avvocato del popolo si trova ora di fronte a un bivio, mentre l’eco del suo appello per un’alleanza per lo sviluppo sostenibile lanciata da un insostenibile tavolino montato al volo a piazza Colonna, di fronte a palazzo Chigi, inizia a farsi sempre più lontana. Conte potrebbe infatti decidere di dare vita a un proprio movimento, tagliando i ponti che ancora lo legano al Movimento 5 stelle e tenendosi in questa maniera le mani libere per svolgere un ruolo da federatore dell’alleanza strutturale giallorossa in vista delle prossime sfide elettorali.

L’autonomia

È questa la strada che si vede per lui dal Nazareno. In questi giorni il dialogo con l’ex presidente del Consiglio non si è mai interrotto. Ci sono stati incontri, confronti. L’avvocato ha visto esponenti dem, a cui ha spiegato di aver messo al lavoro alcuni suoi fedelissimi per riprendere le fila delle forze centriste, europeiste e «responsabili» che si erano aggregate negli ultimi giorni del suo governo, prima della caduta. Il progetto, secondo l’avvocato, resta in piedi. Un progetto che piace anche ai vertici del Pd. Qui la speranza è non solo che Conte aiuti i Cinque stelle a trasformarsi in una forza che possa allearsi nel quadro del centrosinistra, ma che si rilanci come federatore di una famiglia dispersa di forze di centro ed ecologiste, quello che Renzi non ha saputo fare. «Mi dicono che sono fissato con Conte, ma non è così. Conte deciderà da sé», spiega Goffredo Bettini di buon mattino a Radio Immagina, l’emittente dem, «È un uomo uscito dalla sua esperienza di governo con enorme dignità e sobrietà. Ha aiutato la formazione del governo Draghi. Ha grande popolarità, ha un feeling con il paese. Se si forma un’aggregazione moderata, dinamica, rivolta ai cittadini sensibili ai temi ambientalisti, che abbia dentro l’esperienza dei Cinque stelle, con la leadership di Conte, sarebbe un fatto positivo per il centrosinistra».

La questione delle alleanze è il feticcio del dissenso nel Pd. Le minoranze – Base riformista e Giovani turchi – chiedono un congresso anticipato per discuterne con tutti i crismi. Anche Orlando, che resta alleato di Nicola Zingaretti, si è convinto che l’unica strada per evitare il fuoco amico quotidiano – vedasi il caso Nardella – sia «iniziare un percorso che arrivi al congresso», come ha detto sabato scorso al nostro giornale. La pensa così anche Bettini, che in queste ore si vede bocciare una dopo l’altra le sue proposte per la squadra dei sottosegretari e delle sottosegretarie (Roberto Morassut, Monica Cirinnà). Sembra che Zingaretti non riesca a mettere ordine nel caos interno. Né governare le correnti, né fermare gli spifferi. Tanto che ieri su Affari italiani è uscita la – presunta – notizia delle sue dimissioni. Considerata dal Nazareno così lunare da non meritare smentita.

La via a Cinque stelle

Intanto, dentro al Movimento si stanno rendendo conto che perdere un asset prezioso quanto Giuseppe Conte rischia di compromettere a lungo termine la performance dei Cinque stelle.

A esser più preoccupato di tutti è paradossalmente proprio Luigi Di Maio, che negli ultimi tempi non aveva gradito la popolarità quasi inscalfibile del presidente. Di qui il suo grande impegno negli ultimi giorni per coinvolgere l’ex presidente del Consiglio nella riorganizzazione del Movimento: la campagna elettorale per il nuovo organo collegiale che sostituisce la carica del capo politico potrebbe essere l’occasione perfetta. Servirebbe però l’intervento del garante Beppe Grillo, che con una presa di posizione esplicita dovrebbe indicare direttamente Conte, come quota esterna del direttorio o con un ruolo terzo ancora tutto da creare.

L’apertura di Di Maio all’ex premier durante la sua ultima diretta Facebook sembra in questa luce un primo passo in questa direzione, ma la situazione è ancora in stallo: per il momento sembra infatti difficile che Conte possa accettare di mettersi alla guida di un Movimento ancora perso in una guerra fra bande che si trascinerà a lungo. Le espulsioni dopo il voto di fiducia (e i ricorsi che seguiranno) non saranno infatti l’ultimo capitolo dello scontro. La fronda ribelle mira comunque a eleggere almeno un rappresentante nell’organo a cinque che dirigerà il Movimento. Sempre che non venga imposto un nuovo capo politico con un nome, come quello di Conte, che nessuna fazione può rifiutare. Per poterlo chiamare in causa sarebbe però necessario eliminare il punto di riferimento dei “ribelli”, il presidente dell’Associazione Rousseau, Davide Casaleggio.

Lo stallo si risolve tutto in questa contrapposizione interna: finché Conte non si propone come nuovo leader del Movimento, Grillo non si muove per creare il contesto che lo faccia accadere, ma l’ex presidente non vuole esporsi finché non è certo che il M5s sia liberato dall’influenza di Casaleggio, che però a sua volta è un personaggio così ingombrante che l’unico a poterlo estromettere dai giochi è proprio Conte stesso.

Intanto, continuano i contatti tra Conte e Grillo, soprattutto adesso che Di Maio si è mostrato disponibile al passo di lato. Il ministro degli Esteri sa che attualmente il suo capitale politico al di fuori dei gruppi parlamentari, che pure sono usciti pesantemente logorati dalle infinite riunioni per gestire la nascita del governo Draghi, è al minimo. Gli attivisti non guardano più tanto a lui quanto ad Alessandro Di Battista, che si palesa in dirette social e lunghi interventi critici verso il nuovo esecutivo e la nuova maggioranza, ma pur avendo restituito la tessera del Movimento, non mostra la via ai suoi seguaci. L’unica soluzione per Di Maio sarebbe quindi restare per qualche tempo all’ombra dell’ex presidente del Consiglio e, mettendosi nella sua scia, godere del consenso che raccoglie.

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