Entrato senza nessuna precedente esperienza, non in politica, ma nelle istituzioni al vertice del governo, il professor Giuseppe Conte ha imparato molto nel corso del tempo. Il punto più alto del suo apprendimento politico lo si è visto nel discorso in Senato “contro” Matteo Salvini, che pose termine al suo primo governo.

Grande merito di Conte è stato quello di riuscire con la sua intransigenza e coerenza a ottenere un’ingente quantità di fondi dall’Unione europea, acquisendo una notevole credibilità come interlocutore e “realizzatore”. Conte è sempre stato osteggiato, per ragioni più o meno confessabili, praticamente da tutta la stampa italiana, addirittura accusato di autoritarismo. La sua comunicazione politica non è stata all’altezza delle sfide.

Privo di un vero e proprio sostegno partitico, Conte ha proceduto attraverso aggiustamenti successivi consapevole di essere sostanzialmente indispensabile per l’esistenza e la durata della maggioranza giallorossa --mentre il Movimento 5 stelle lentamente si sfaldava. I sondaggi che, all’unisono, rilevavano la sua considerevole popolarità l’hanno probabilmente indotto a sopravvalutare la sua forza politica. Questa convinzione si è rivelata la sua vera debolezza.

Hubris

Conte ha sottovalutato l’invidia personale, la megalomania e la sfida lanciata con argomenti pretestuosi da Matteo Renzi, meno ingenuo di Matteo Salvini, ma soprattutto dotato del potere di ricatto derivante dai suoi numeri al Senato.

La hubris di Conte si è manifestata nella supponenza del suo discorso al Senato nel quale poco o nulla ha concesso a Renzi (anche se personalmente ritengo che nessuna concessione sarebbe stata sufficiente). Nel momento della verità sono emersi due elementi negativi per Conte: i) la mancanza di quelle reti di relazioni che rendono potenti alcuni uomini politici in carriera, ii) l’assenza di un veicolo politico-partitico a suo sostegno. Uscendo non soltanto da palazzo Chigi, ma, probabilmente, dalla politica, il professor Giuseppe Conte merita l’onore delle armi.

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